24/2/2023 La Proposta di Regolamento sull'Intelligenza Artificiale dell'Unione Europea: le principali novitàRead NowLa Commissione europea ha presentato nell'aprile del 2021 la Proposta di Regolamento sull'Intelligenza Artificiale, con l'obiettivo di favorire lo sviluppo industriale in questo settore, tutelando i diritti fondamentali degli individui e la sicurezza dei sistemi. Il Regolamento stabilisce regole armonizzate direttamente applicabili su tutto il territorio europeo in materia di sviluppo, commercializzazione e utilizzo dell'Intelligenza Artificiale, garantendo la libera circolazione di questi sistemi nell'Unione.
La Proposta di Regolamento prevede il divieto di alcune pratiche di IA, dei requisiti specifici per i sistemi di IA ad alto rischio e obblighi per gli operatori che li utilizzano, regole sulla trasparenza di determinati sistemi di IA, monitoraggio e vigilanza dei mercati e governance. Inoltre, sono presenti alcune misure a sostegno dell'innovazione in questo settore. Il Consiglio europeo ha apportato alcune modifiche alla Proposta della Commissione, limitando la definizione di IA ai sistemi sviluppati mediante approcci di apprendimento automatico e basati sulla logica e sulla conoscenza. È stato inoltre introdotto il nuovo titolo 1 bis che disciplina le "IA per finalità generali", ossia quei sistemi che possono essere utilizzati per molti scopi diversi, ma considerando anche i casi in cui queste tecnologie sono integrate successivamente in sistemi ad alto rischio. Per quanto riguarda i sistemi di IA ad alto rischio, vengono introdotti nuovi criteri di classificazione e requisiti. La rilevanza dell'output del sistema di IA rispetto all'azione pertinente o alla decisione da adottare sarà presa in considerazione nella classificazione di queste tecnologie, al fine di evitare di includere in questa categoria Intelligenze Artificiali che non presentano il rischio di causare gravi violazioni dei diritti fondamentali o altri pericoli significativi. I requisiti per i sistemi ad alto rischio sono stati chiariti e adeguati per renderli tecnicamente più realizzabili e meno onerosi per i portatori di interessi. Novità riguardano, ad esempio, la qualità dei dati e la documentazione tecnica che dovrà essere redatta dalle PMI, così come chiarimenti sull'assegnazione di ruoli e responsabilità dei vari soggetti coinvolti nelle catene di sviluppo e distribuzione di queste tecnologie e sui rapporti tra di essi. In conclusione, la Proposta di Regolamento sull'Intelligenza Artificiale rappresenta un importante passo in avanti per la regolamentazione di un settore in continua evoluzione e di grande importanza economica e sociale. La sua implementazione garantirà la tutela dei diritti fondamentali degli individui e la sicurezza dei sistemi, senza tuttavia ostacolare lo sviluppo e l'innovazione nel campo dell'Intelligenza Artificiale. Il Decreto del Ministro Stefano Patuanelli che disciplina i criteri, le modalità e le procedure per l'attuazione dei Contratti di filiera e di distretto previsti dal fondo complementare al PNRR è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
Questo provvedimento permetterà di implementare concretamente i Contratti di filiera, definendo nel dettaglio l'iter istruttorio, la procedura di valutazione per la selezione dei progetti e le modalità di finanziamento. A disposizione delle aziende agroalimentari, ittiche, forestali e florovivaistiche 1,2 miliardi di euro per investimenti in attivi materiali e immateriali nelle aziende agricole, nel settore della trasformazione e della commercializzazione di prodotti agricoli, nella partecipazione dei produttori ai regimi di qualità, nella promozione dei prodotti agricoli e nella ricerca e sviluppo nel settore agricolo. Le misure consentono di agevolare le filiere produttive grazie ai contributi in conto capitale e ai finanziamenti agevolati destinati a investire in processi di riorganizzazione dei rapporti tra i differenti soggetti della filiera, anche alla luce della riconversione tecnologica, digitale ed ambientale in atto nei diversi comparti, puntando ad una maggiore integrazione, alla creazione di migliori relazioni di mercato e a ricadute positive sulla produzione agricola. Fonte: https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/17928
Hermes sta agendo nei confronti del creatore di 100 NFT "MetaBirkins", raffiguranti l'iconica borsa Birkin.
Il caso MetaBirkins
Nel caso di specie Hermès ha prima notificato una diffida e poi agito in giudizio nei confronti di Mason Rothschild, l'individuo dietro la creazione dei 100 NFT MetaBirkins, di cui il primo è stato venduto su OpenSea il 3 dicembre 2021 per $ 42.000, generando un volume di ricavi pari a $ 1.100.000.
Rothschild, sul suo profilo instagram, in una lettera aperta ha sottolineato i suoi diritti di artista e il carattere di denuncia delle sue opere, specie verso la crudeltà nei confronti degli animali per le produzioni del mondo della moda.ââ
La questione
La questione, tutt'altro che semplice, riguarda la configurabilità della violazione del marchio nell'ambito NFT.
E' chiaro, infatti, che Hermès detiene diritti su nome e configurazione della borsa Birkin. Ciò che pare essere in discussione è l'estensione di tali diritti alle borse virtuali o, comunque, alla vendita di NFT. Peraltro resta da analizzare ulteriormente il profilo correlato alla dimostrazione della confusione in cui il prodotto digitale ha indotto il consumatore. A far propendere per una risposta affermativa c'è un dato che rende questo caso distinguibile dagli altri: il prezzo. Se, infatti, in precedenza, altri NFT avevano fatto esplicito riferimento o, comunque, richiamato marchi particolarmente noti ma ad un prezzo di vendita che si aggirava attorno ai 10$, come nel caso delle borse Gucci NFT, in questo caso il prezzo di vendita è vicino alle borse prodotte dall'azienda francese.
In attesa di una decisione sul punto, le MetaBirkins sono state eliminate dallo store OpenSea ma, ovviamente, chi ha già acquistato gli NFT ne rimane in possesso.
Il Tribunale dell'Unione Europea ha evidenziato che il marchio della squadra di calcio AC Milan non può essere registrato come marchio europeo. Lo stesso, infatti, potrebbe indurre in confusione il consumatore data la precedente registrazione del marchio tedesco "MILAN" relativo ad articoli di cancelleria
Leggi la decisione L'art. 48 del r.d. n. 929 del 1942 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 45 del d.lgs. n. 480 del 1992), laddove prevede la cd. convalidazione del marchio successivo e confondibile se usato in buona fede per cinque anni senza contestazioni, trova applicazione non soltanto nell'ipotesi di conflitto tra un marchio anteriore di fatto ed uno successivo registrato, ma anche in quella di conflitto tra marchi registrati, restando irrilevante la circostanza che a partire dal 1981 e fino al 1992 sia cessato il sistema della pubblicazione dei brevetti nel Bollettino originariamente previsto dall'art. 97 del r.d. n. 1127 del 1939 (sempre nel testo anteriore alla novella introdotta dall'art. 85 del d.lgs. n. 480 del 1992), dovendosi conciliare il contenuto della norma vigente con la situazione di fatto all'epoca esistente.
Cassazione civile sez. I, 27/07/2021, n.21566 Fonte: Giustizia Civile Massimario 2021 La Corte di Cassazione, con decisione sez. I, 12/05/2021, n.12566, è intervenuta sull'accertamento del rischio di confusione di un marchio debole in sede di valutazione.
Il marchio debole è quel marchio per cui è sufficiente qualche lieve modificazione/integrazione per escludere la sua tutela rispetto ai marchi successivi. La Corte ha, quindi, evidenziato che: "La componente descrittiva del segno non può, almeno di regola, assumere valenza dominante all'interno del marchio, in quanto è inidonea ad essere percepita dal pubblico, e a imprimersi nella memoria dello stesso, come un elemento munito di propria distintività". Il Tribunale Roma sez. XVII, con decisione 23/12/2020, n.18545, ha stabilito che:
In merito alla ripartizione dell'onere probatorio, conformemente all'orientamento prevalente della Suprema Corte nella vigenza dell'abrogata disciplina di settore, l'attore che agisca per la declaratoria di decadenza di un marchio brevettato, e che ha l'onere di provare il non uso di quel marchio nell'intero territorio nazionale, può assolverlo anche in via indiretta e presuntiva, purchè con la prova di circostanze significative e concordanti idonee ad evidenziare tale non uso. Affinchè non ne risulti praticamente impossibile l'adempimento, tale onere probatorio deve essere inteso non già nel senso che debba fornirsi la concreta dimostrazione del fatto storico che nessun oggetto contraddistinto col marchio contestato sia stato prodotto o venduto in alcuna località del territorio nazionale, ma nel senso che, accertate particolari circostanze connesse alla vita del marchio, il mancato uso di questo possa essere desunto anche in via di presunzione, avuto pure riguardo alla possibilità che ha normalmente il suo titolare di contestare il valore presuntivo degli elementi dedotti dalla parte avversa (cfr. Cass. civ. n. 7970 del 28/03/2017). 8/3/2021 La 'royalty virtuale' e la liquidazione del danno da contraffazione di brevetto: Cassazione 02/03/2021, n.5666Read NowIn tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa leso può chiedere di essere ristorato del danno patito tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito. In tale ambito, il criterio della "royalty virtuale" segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere utilizzato a fronte dell'indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell'obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale.
Cassazione civile sez. I, 02/03/2021, n.5666 17/9/2020 MArchio debole e capacità distintiva: Tribunale Roma Sez. spec. Impresa, 15/07/2020Read Now Con ricorso cautelare la Facile.it S.p.A. ha promosso procedimento cautelare nei confronti della convenuta Facile Ristrutturare S.r.l. chiedendo al Giudice istruttore di inibire l'utilizzo, a qualunque titolo, dei segni a componente “facile”. Tramite la decisione del Tribunale di Roma è possibile analizzare nuovamente la capacità distintiva di un marchio debole. Il Tribunale, infatti, ha sancito che un marchio debole può ritenersi valido quando l'elemento descrittivo sia accompagnato da una differenziazione tramite prefissi o suffissi, ovvero da distorisioni o combinazioni di parole peculiari. Di conseguenza, nel caso in esame, il Giudice ha evidenziato il rischio di confusione sussistnte tra i segni "comprofacile.it" e "comprofacileit", registrati per le medesime classi merceologiche cui fa riferimento il marchio della società ricorrente.
22/6/2020 COVID-19 e riduzione del corrispettivo del contratto di precario utilizzo dell’immobileRead NowIl Tribunale di Bari e, in particolare, l’Ufficio Esecuzioni Immobiliari, ha autorizzato la riduzione del corrispettivo del contratto di precario utilizzo dell’immobile risolutivamente condizionato alla vendita in ragione della crisi da COVID-19.
Nel dettaglio, l’istanza presentata dal professionista era basata sulla normativa in materia di credito di imposta afferente al contratto di locazione, intervenuta con il d.l. n. 18/2020 e il d.l. n. 34/2020. L’ufficio, valutando l’inadempimento giustificato all’obbligazione contrattuale autorizzata dallo stesso e tenendo conto sia della specifica situazione commerciale dello stesso conduttore che del generale momento di crisi economica dovuti all’emergenza sanitaria da Covid-19, ha autorizzato la riduzione del corrispettivo del contratto di precario utilizzo dell’immobile risolutivamente condizionato alla vendita. Il Tribunale, dunque, ha ritenuto opportuna la riduzione dell’indennizzo relativo al contratto di precario utilizzo dell’immobile in luogo della risoluzione dello stesso, tenuto conto anche della maggiore convenienza economica e gestoria. L'art. 52 c.p.i. individua le rivendicazioni quali limiti della protezione. La descrizione e i disegni, utili ad interpretare le rivendicazioni, non possono integrare il significato di queste e neppure sono idonee ad estendere l'oggetto del brevetto.
Cosa accade, però, in caso di divergenza tra descrizione e quanto rivendicato? In tal caso, l'articolo 79 c.p.i. consente al titolare del brevetto di riformularlo, aggiungendo nuovi elementi. La riformulazione può anche essere sottoposta ad un giudice nel giudizio di nullità a patto, però, che la riformulazione rimanga entro i limiti del contenuto della domanda di brevetto quale inizialmente depositata e non estenda la protezione conferita dal brevetto concesso. Occorre quindi tenere in considerazione due limiti: la fonte delle informazioni, corrispondente alla domanda iniziale e l'oggetto del brevetto che si concretizza nell'ambito di protezione conferito dalle rivendicazioni originarie. Così interpretata, la norma garantisce che la riformulazione non porti ad una estensione della protezione originaria. La Corte di Cassazione, nell'individuare la competenza territoriale per violazione online del marchio, ha evidenziato che in materia di proprietà industriale le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell'attore possono essere proposte anche dinanzi all'Autorità giudiziaria dotata di sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi. Ora, nel caso di pubblicità via internet vi è un'evidente esigenza di delimitazione spaziale della condotta illecita. In tal caso, infatti, sussiste il rischio di creare una situazione di incertezza sul piano della individuazione del foro della contraffazione. Violazione online del marchio: la competenza nella giurisprudenza europea Nel fare riferimento alla giurisprudenza comunitaria sul punto, la Suprema Corte ha evidenziato che la Corte di giustizia ha rilevato che nel caso di lamentata violazione di un marchio nazionale registrato in uno Stato membro, la quale si attui proprio attraverso l'utilizzo di una parola chiave identica al detto marchio, quel che rileva è "l'avviamento, da parte dell'inserzionista, del processo tecnico finalizzato alla comparsa, in base a parametri predefiniti, dell'annuncio che detto inserzionista ha creato per la propria comunicazione commerciale (Corte giust. UE 19 aprile 2012, C-523/10). Ciò posto, dunque, la competenza giurisdizionale, con riguardo alla detta fattispecie dell'uso di key-word eguale a un marchio registrato, si radica nello Stato membro del luogo di stabilimento dell'inserzionista. Le conclusioni della Corte sulla competenza territoriale nella violazione online del marchio La Corte di Cassazione ha, quindi, concluso che, ai fini dell'applicazione dell'art. 120 c.p.i., il riferimento al luogo di stabilimento del contenuto trova giustificazione in ciò: se la competenza si radica nell'avvio della condotta di inserzione dei dati nel circuito telematico, questa si attua, presuntivamente, nel luogo in cui l'impresa ha il centro principale degli affati, onde è necessario far riferimento proprio a dove detta impresa ha la propria sede.
Cassazione civile sez. VI, 27/02/2020, n.5309 Quella tra nome di dominio e marchio è una questione giuridica di assoluto rilievo. Basti pensare al titolare di un marchio registrato che scopre che lo stesso è stato utilizzato da terzi per la creazione di un sito web. E' quello che è accaduto alla AME SpA, proprietaria della nota testata giornalistica "Grazia", il cui marchio era stato utilizzato per la creazione del sito grazia.net. nome di dominio e marchio: primo grado e appelloIn primo grado il Tribunale aveva ritenuto applicabile al caso di specie il principio di convalidazione di cui all'art. 28 del d.lgs. n. 30/2005 (Codice Proprietà Industriale). L'articolo menzionato così recita: «Il titolare di un marchio d'impresa anteriore ai sensi dell'articolo 12 e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante 5 anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all'uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso». Il Giudice, dunque, aveva ritenuto legittimo l'utilizzo del nome di dominio. Leggi anche: "Carattere distintivo del marchio e registrazione dei marchi anteriori La Corte d'Appello, invece, riformava la sentenza di primo grado dichiarando che il marchio grazia.net di proprietà di GS non si era mai convalidato e che anche l'utilizzo del nome a dominio era illegittimo. La decisione della suprema corteLa Corte di Cassazione, adita per violazione e falsa applicazione dell'articolo 28 c.p.i., ha evidenziato che "il domain name che riproduca o contenga il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l'attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio. Ne consegue che solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente utilizzarlo sul proprio sito o come nome di dominio" (Cassazione civile sez. I, 21/02/2020, n.4721).
Il carattere distintivo del marchio anteriore deve essere valutato al fine di individuare se il marchio successivo sia idoneo a ingenerare confusione per il pubblico. In particolare, per quanto qui interessa, l’articolo 12, comma 1, codice proprietà industriale stabilisce che non possono costituire oggetto di registrazione tutti quei segni che siano identici o simili a un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio usato nell'attività economica, o altro segno distintivo adottato da altri. Carattere distintivo del marchio, la decisione della corte di cassazioneSul punto è intervenuta la decisione della Corte di Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n.2976, la quale ha precisato che occorre valutare se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra l'attività d'impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.
Eccezione a quanto appena detto è il caso in cui ad aver utilizzato precedentemente il segno sia stato il richiedente o il suo dante causa. In tal caso, infatti, non vi è alcun ostacolo alla registrazione qualora il registrante sia il solo preutente (o il suo avente causa). La sentenza della Corte di Cassazione n. 1111/20, depositata il 20 gennaio, ha posto nuovamente in evidenza il principio già stabilito nelle precedenti pronunce secondo cui: «In tema di invenzione di azienda, ai fini della liquidazione dell'equo premio ai sensi dell'art. 23, comma 2, r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, occorre tener conto dell'importanza, e non del prezzo, dell'invenzione; sicché opera correttamente il giudice del merito che, al detto fine, nel considerare le potenzialità di sfruttamento economico dell'invenzione, ricorre ad una valutazione equitativa in funzione correttiva, ad evitare il risultato di una quantificazione parametrata sul solo valore commerciale dell'invenzione» (Cass. 27.2.2001, n. 2849).
Nel 2010, il Tribunale di Udine, nell'accertare a qualità di autore (o coautore) del signor FF di svariate invenzioni poi brevettate, ne dichiarava il diritto ad un equo premio. La sentenza con cui il Tribunale condannava la società al pagamento dell'importo di Euro 1.277.170,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza al saldo, veniva poi appellata dinanzi alla Corte d'Appello di Trieste. Questa, nel 2014, riduceva il premio ad € 446.116,00 oltre interessi al tasso legale dalla data di messa in mora fino a quella di deposito della sentenza di primo grado, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi al tasso legale da tale data fino al saldo. Il signor FF, dunque, nel proporre ricorso in Cassazione si doleva, tra gli altri motivi, dell'erronea individuazione della data di decorrenza degli interessi legali dalla data della messa in mora anziché dalla data del rilascio di ciascun brevetto confondendo gli interessi moratori con quelli compensativi che avrebbe dovuto riconoscere la Corte territoriale. Sul punto, quindi, la Suprema Corte, ha ribadito il principio enunciato in apertura. La giurisprudenza ha, nel corso del tempo, elaborato due categorie con riferimento alla capacità distintiva del marchio: i c.d. marchi forti e i c.d. marchi deboli.
I marchi forti sono quelli dotati di elevata capacità distintiva. In sostanza, essi si caratterizzano perché non sono concettualmente legati al prodotto. Sui secondi è intervenuta la Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, n.738, la quale ha precisato che: "i marchi "deboli" sono tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto per non essere andata la fantasia che li ha concepiti oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento dello stesso, ovvero per l'uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo (fattispecie relativa all'uso della parola 'Imperial' nel settore moda); peraltro, la loro "debolezza" non incide sull'attitudine alla registrazione, ma soltanto sull'intensità della tutela che ne deriva, atteso che sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte". Il Tribunale dell’Unione Europea ha ribadito quanto già espresso dall’EUIPO, respingendo la richiesta di iscrizione di un marchio evocante la marijuana. Tale segno distintivo, infatti, sarebbe contrario all’ordine pubblico.
L’Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale aveva ritenuto che «la rappresentazione stilizzata della foglia di cannabis costituisse il simbolo mediatico della marijuana». Il disegno, però, recava altri due elementi rilevanti: 1) recava la parola “Amsterdam”; 2) riportava la parola “store”. Il riferimento alla città olandese, ove è nota la presenza di punti vendita della sostanza stupefacente in commento, nonché quello allo “store”, potrebbero condizionare il consumatore inducendolo ad «aspettarsi che i prodotti e i servizi commercializzati con tale segno corrispondano a quelli offerti da un negozio di sostanze stupefacenti». Il Tribunale, su queste basi, ha deciso che «nel caso di specie, è per la combinazione di tali diversi elementi che il segno in questione attira l’attenzione dei consumatori, che non sono necessariamente in possesso di conoscenze scientifiche o tecniche precise sulla cannabis quale sostanza stupefacente, illegale in numerosi Paesi dell’Unione» evidenziando altresì che «allo stato attuale del diritto il suo consumo e il suo utilizzo oltre una certa soglia rimangono illegali nella maggior parte degli Stati membri. In questi ultimi, quindi, la lotta alla diffusione della sostanza stupefacente derivata dalla cannabis risponde ad un obiettivo di sanità pubblica, volto a combatterne gli effetti nocivi». Il capitombolo subito da un uomo a seguito della disattenzione da lui mostrata non è risarcibile. Esclusa la responsabilità del Comune. (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 25436/19; depositata il 10 ottobre) La brutta caduta, causata dalla distrazione derivante da shopping e chiacchiere non è risarcibile. Nessuna ipotesi di risarcimento da parte del Comune.
L'episodio si è verificato in Abruzzo. Protagonista un uomo, finito rovinosamente a terra durante una passeggiata. L'uomo ha sostenuto, in Tribunale, in Corte d'appello e, infine, in Cassazione, la responsabilità del Comune, colpevole di non aver provveduto a rendere sicura la strada da lui percorsa e caratterizzata da un tombino mal collocato. I Giudici, però, hanno ritenuto che il capitombolo vada addebitato solo alla scarsa attenzione prestata dall’uomo durante la passeggiata. <<l'incidente si era verificato per esclusiva responsabilità dell'attore, sottolineando in proposito: che la strada era illuminata; che il tombino in cui lo stesso attore era inciampato aveva solo un leggero avvallamento, non idoneo ad arrecare alcun nocumento e, comunque, era visibile; che l'incidente si era in sostanza verificato esclusivamente perché l'attore era distratto a guardare alcune vetrine ed a parlare con alcuni amici, per cui non aveva posto attenzione al marciapiede ed alla strada, mentre la attraversava al di fuori delle vicine strisce pedonali>>. Ogni ipotetica responsabilità del Comune va quindi esclusa. Tutor in Autostrada: la vicendaLa Craft s.p.a. presentava dinanzi al Tribunale di Roma, nei confronti di Autostrade per l’Italia, richiesta di accertamento della nullità della domanda di brevetto da questa presentata e relativa al sistema di rilevamento della velocità dei veicoli. Alla base di tale richiesta vi era l'asserito difetto di novità e originalità. Rigettata l'azione dal Tribunale di Roma, in secondo grado, la Corte d’Appello evidenziava la violazione, da parte di Autostrade per l'Italia, delle norme relative alla proprietà intellettuale della società Craft e ordinava la rimozione del sistema di rilevamento. La decisione della Corte di Cassazione I Giudici del Supremo Collegio, hanno accolto il ricorso di Autostrade per l’Italia, cassando la sentenza impugnata ed emanando il nuovo principio di diritto in base al quale «la contraffazione per equivalenti ricorre in presenza della soluzione di un problema tecnico attuata attraverso invenzioni che presentino elementi delle rivendicazioni muniti di equivalenza, non in presenza della sola identità del problema suscettibile di essere superato con soluzioni tra loro diverse».
Per la Corte di Cassazione sono dunque infondati i motivi per cui la Corte d’Appello aveva deciso che il sistema tutor violasse le norme relative alla proprietà intellettuale della società controricorrente e dovesse essere rimosso. Il sistema di rilevamento si appresta, dunque, a tornare in funzione Se il processo civile si svolge in Italia deve essere regolato dalla legge italiana (art. 12 della L. 31 maggio 1995 n. 218) e la procura alle liti, ove rilasciata all'estero, deve avere i requisiti di forma e di sostanza previsti dall'ordinamento interno italiano (art. 83 c.p.c. e art. 2703 c.c.). L'art. 83 c.p.c. prevede che la procura generale alle liti debba avere la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Di conseguenza, quanto alla scrittura privata autenticata, il pubblico ufficiale deve attestare che il documento è stato firmato in sua presenza dopo aver preventivamente accertato l'identità del sottoscrittore (CASS. SS.UU. 3410/2008). Nella fattispecie esaminata dalla Law Boutique Palumbieri e portata all'attenzione del Tribunale di Trani, la procura generale alle liti risultava rilasciata in un luogo imprecisato in data antecedente (sia pure di un solo giorno) rispetto a quella della autentica notarile, ciò inducendo il ragionevole dubbio sulla attività certificativa del Notaio, consistente nella dichiarazione che il documento era stato firmato in sua presenza. Il Tribunale ha statuito la nullità della procura concedendo alla parte interessata un termine perentorio (ai sensi dell'art.182 c.p.c.) per produrre una nuova e valida procura alle liti (CASS. CIV. 8174/2018).
Con la sentenza n. 19155/2019 la prima sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un padre separato nei cui confronti era stato emesso un decreto ingiuntivo relativamente alle somme sostenute dalla ex coniuge per l’istruzione del figlio. il casoNel caso di specie gli sms erano stati utilizzati dalla madre del bimbo per provare l'adesione del padre all'iscrizione del minore all'asilo nido nonché l’intenzione di sostenere la metà della retta dovuta. Il padre, dunque, ricorrendo in Cassazione, ha sostenuto la carenza efficacia probatori degli sms, in quanto non idonei a provare sottoscrizione e numero di cellulare del soggetto che li aveva inviati e del soggetto che li aveva ricevuti. La decisione della corteLa Corte ha, dunque, stabilito che:
In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c., il "disconoscimento" che fa perdere ad esse la qualità di prova, pur non soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 c.p.c, deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, ma non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, comma 2, c.p.c., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (fattispecie relativa alla valenza probatoria di alcuni sms). Il Garante per la protezione dei dati personali ha annunciato, con comunicato stampa del 2 luglio, la sua alleanza con l’AGCM e l’AGCOM. Scopo è disciplinare il fenomeno dei big data garantendo una politica efficace a livello pubblico. Big data: definizione Con il termine big data si indica quella raccolta di dati così ampia da richiedere tecnologie e metodi di analisi specifici per estrapolare, gestire e processare le informazioni. Nel 2000, Doug Laney, analista di settore, ha formulato la definizione delle tre V dei big data:
La cooperazione tra Autorità La necessità di cooperare con le altre autorità deriva dall’importanza che i dati hanno assunto per l’ottimizzazione di processi e decisioni, per l’innovazione e il corretto funzionamento dei mercati. A breve, il Garante Privacy renderà disponibile un documento elaborato a seguito delle audizioni svolti dalle tre Autorità. Le richieste al Governo e al Parlamento Tra le principali novità, si chiede al Governo e al Parlamento:
Il Tribunale dell'Ue si è espresso sulla validità del marchio Adidas, azienda di abbigliamento sportivo conosciuta in tutto il mondo, consistente in tre strisce parallele poste alla stessa distanza, di uguale larghezza e applicate in qualsiasi direzione. La storia del marchio Adida Le tre bande di Adidas, pensate nel 1920, sono tornate a rappresentare l’azienda nel 1996, dopo una pausa che dal 1972 aveva visto l’adozione del “trifoglio”, simboleggiante lo spirito olimpico. La registrazione del marchio Adida L’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo) nel 2014 aveva registrato il marchio dell’Adidas. I prodotti per i quali è stata richiesta e ottenuta la registrazione rientrano nella classe 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza e corrispondono alla descrizione: «Abbigliamento; scarpe; cappelleria». Nel 2016, tuttavia, a seguito di ricorso presentato il 16 dicembre 2014 dall’impresa belga Shoe Branding Europe, la registrazione era stata annullata in quanto il marchio era privo di qualsiasi carattere distintivo La decisione del Tribunale UE Al fine di tutelare il proprio marchio, Adidas avrebbe dovuto, dunque, dimostrare il carattere distintivo assunto dalle tre bande dinanzi al Tribunale UE.
Sul punto, la società con sede a Herzogenaurach, in Baviera, non è riuscita a fornire una tesi convincente e, di conseguenza, il marchio è stato dichiarato nullo. Ecco la sentenza del Tribunale La legge che regola il carcere a vita viola il diritto del condannato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e, quindi, dev’essere rivista perché contrario all’art 3 della Convenzione europea per i diritti umani. A stabilirlo è stata la Corte Europea dei Diritti Umani. La Corte europea per i diritti umani La CEDU è stata istituita nel 1959 ed è un organo giurisdizionale internazionale. Si badi che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo non fa parte dell'Unione europea. L’ergastolo in Italia Per ergastolo ostativo, nel nostro ordinamento, s’intende la pena che prevede la reclusione a vita, il c.d. “fine pena mai”. Questo si differenzia rispetto al normale ergastolo perché, se nel secondo caso il condannato ha diritto ad alcuni benefici, nel primo non è previsto alcun tipo di beneficio o di premio. La decisione sull’ergastolo In particolare, la Corte ha osservato che colui che viene condannato al carcere a vita (ergastolo ostativo) non ha diritto ad ottenere alcun beneficio. Egli, infatti, non può usufruire della riduzione della pena o di permessi d’uscita. L’unico modo che un condannato all’ergastolo ha di poter usufruire di determinati benefici è collaborare con la giustizia. Ciò, secondo la CEDU, porta ad un’equiparazione della mancanza di collaborazione a una presunzione irrefutabile di pericolosità per la società.
La Corte ha evidenziato che la scelta di collaborare non è sempre “libera” e che, quindi, «non si può presumere che ogni collaborazione con la giustizia implichi un vero pentimento e sia accompagnata dalla decisione di tagliare ogni legame con le associazioni per delinquere>>. Nella sentenza, inoltre, si afferma che privare un condannato di qualsiasi possibilità di riabilitazione viola la dignità umana, principio base su cui si fonda la convenzione europea dei diritti umani, |
Details
Archives
April 2022
|