STUDIO LEGALE PALUMBIERI
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28/9/2017

Whatsapp: qualsiasi cosa dirai potrà essere usato contro di te

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Anche le chat possono fare piena prova in giudizio
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Ormai i mezzi di comunicazione digitali costituiscono il principale strumento tramite il quale ci rapportiamo. Sono entrati nella nostra quotidianità e, anche giuridicamente, hanno assunto rilievo assoluto.
In verità, la controversia circa la possibilità di utilizzare le chat di Whatsapp in giudizio è durata ben poco e qualche giorno fa ne abbiamo avuto conferma.
Andiamo per gradi partendo dagli sms. La Suprema Corte, infatti, più volte si è pronunciata sulla questione. E’ possibile citare, ad esempio, l’ultima sentenza a riguardo: la pronuncia numero 5510 del 6 marzo 2017, tramite la quale la Corte ha ritenuto valida, come prova del tradimento del marito, proprio gli sms inviati all’amante, decidendo per l’addebito della separazione a carico dello stesso.
Dagli SMS a whatsapp il passo è breve. Il Tribunale di Ravenna, infatti, ha posto alla base della sentenza 231/2017 proprio le chat della nota app di messaggistica. Nella fattispecie, il Tribunale, ha condannato una donna alla restituzione all’ex amante dei soldi che questo le aveva prestato per comprare una auto. La controversia, in particolare, verteva sulla qualificazione di tale trasferimento di somme di denaro. Proprio i messaggi inviati tramite Whatsapp hanno risolto l’arcano: la donna, infatti, in chat si era impegnata a restituire tutte le somme in rate mensili di €200 e offrendo servizi di pulizia domestica.Il Giudice ha, quindi, ritenuto che le somme non fossero state corrisposte come atto di liberalità condannando, come detto, la donna alla restituzione.
Qualche dubbio.
Non tutto, però, è chiaro. Ad esempio: a differenza degli stati e delle immagini pubblicati – senza restrizioni di privacy – tramite il social network Facebook, le chat di whatsapp non hanno un link pubblico, non hanno una versione chache rinvenibile e non possono essere rintracciate se non tramite uno schreenshot o una stampa della conversazione in PDF. Dunque, chi può “garantire” sulla provenienza della chat? Chi può assicurarci che non sia stata modificata o, comunque, creata artificialmente?
Difficile rispondere a queste domande. Occorre attendere nuove decisioni in merito. Tutti gli aggiornamenti sulla rubrica “Diritto 2.0” di Close-Up Engineering.

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19/9/2017

Il grande ritorno: obbligatoria in etichetta l’indicazione dello stabilimento

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Approvato dal Consiglio dei ministri il decreto legislativo che reintroduce l'obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento in etichetta
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Il consiglio dei ministri ha licenziato, pochi giorni fa, un nuovo decreto che prevede l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento in etichetta. Si tratta, in realtà di un grande ritorno: l’obbligo, infatti, era stato abrogato dall’entrata in vigore del Regolamento UE 1169/2011 sulla etichettatura dei cibi. Il regolamento in questione prevede esclusivamente l’obbligo di indicare il responsabile legale del marchio ma non quello di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento, prevedendo, invece, questa informazione solo tra quelle facoltative. Per questo, l’Italia, ha stabilito la reintroduzione di tale obbligo al fine di facilitare la rintracciabilità del prodotto e fornire una maggiore garanzia al consumatore.
Il decreto prevede, inoltre, un periodo transitorio di 180 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per lo smaltimento delle etichette e esaurimento dei prodotti già etichettati e messi in commercio.

COMUNICATO STAMPA
MIPAAF, APPROVATO DECRETO PER L’OBBLIGO DI INDICAZIONE DELLO STABILIMENTO IN ETICHETTA
 
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rende noto che il Consiglio dei Ministri ha approvato questa mattina in via definitiva il decreto legislativo che reintroduce l'obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento in etichetta. Il provvedimento prevede un periodo transitorio di 180 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, per lo smaltimento delle etichette già stampate, e fino a esaurimento dei prodotti etichettati prima dell'entrata in vigore del decreto ma già immessi in commercio.
 
L'obbligo era già sancito dalla legge italiana, ma è stato abrogato in seguito al riordino della normativa europea in materia di etichettatura alimentare. L'Italia ha stabilito la sua reintroduzione al fine di garantire, oltre che una corretta e completa informazione al consumatore, una migliore e immediata rintracciabilità degli alimenti da parte degli organi di controllo e, di conseguenza, una più efficace tutela della salute.
La legge di delega affida la competenza per il controllo del rispetto della norma e l'applicazione delle eventuali sanzioni all'Ispettorato repressione frodi (ICQRF).
 
"È un impegno mantenuto - ha commentato il Ministro Martina - nei confronti dei consumatori e delle moltissime aziende che hanno chiesto di ripristinare l'obbligo di indicare lo stabilimento. In questi mesi, infatti, sono state tante le imprese che hanno continuato a dare ai cittadini questa importante informazione. Continuiamo il lavoro per rendere sempre più chiara e trasparente l'etichetta degli alimenti, perché crediamo sia una chiave fondamentale di competitività e sia utile per la migliore tutela dei consumatori. I recenti casi di allarme sanitario ci ricordano quanto sia cruciale proseguire questo percorso soprattutto a livello europeo. L'Italia si pone ancora una volta all'avanguardia".
 
Ufficio Stampa
 

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12/9/2017

Multe salate per chi inganna i consumatori in etichetta

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Dal Cdm il via allo schema di decreto legislativo con sanzioni dino a € 150.000.
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Le norme sull’etichettatura dei prodotti sono dettate dal regolamento europeo n. 1169/2011 e dalla direttiva 2011/91/UE. Mancava, almeno in parte, un nuovo sistema sanzionatorio e, per questo, l'8 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato, in prima lettura, un decreto legislativo. Tale decreto, attuando le norme europee sulla disciplina sanzionatoria per la violazione delle informazioni sugli alimenti ai consumatori, ha stabilito che ad irrogare le sanzioni sarà l’Ispettorato centrale tutela della qualità e repressione frodi (Icqrf) del Ministero delle politiche agricole.
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Le sanzioni sono divise in cinque scaglioni proporzionali alla gravità delle sanzioni che prevedono una sanzione amministrativa non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro, con variabili legati alla gravità della sanzione.
Il legislatore, con queste norme, intende tutelare la trasparenza. Per questo motivo, ad esempio, ha reintrodotto l’obbligo di indicare la sede dello stabilimento per i prodotti realizzati in Italia e destinati alla vendita nel nostro Paese. Tale obbligo ricade sia sugli alimenti trasformati preimballati destinati al consumatore finale che sugli alimenti trasformati non finalizzati all’immediato consumo.
 
Di seguito Il Comunicato del Consiglio dei ministri
Sanzioni per la violazione di norme a tutela dei consumatori di prodotti alimentari
Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell’articolo 5 della legge 12 agosto 2016 n. 170 – legge di delegazione europea 2015 – (Presidenza del Consiglio, Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e Ministero della salute – esame preliminare)
Il decreto dispone un quadro sanzionatorio di riferimento unico per la violazione delle norme sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e consentire un’applicazione uniforme delle sanzioni a livello nazionale. A questo scopo, si individua quale autorità amministrativa competente per l’irrogazione delle sanzioni il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Trattandosi di violazioni connesse a obblighi informativi, sono state introdotte solo sanzioni di natura amministrativa, che prevedono il pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro. Nell’ambito di tali limiti minimi e massimi sono stati individuati cinque scaglioni di diverso importo della sanzione, commisurati alla gravità della stessa.

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5/9/2017

Airbnb e la cedolare secca del 21

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La tassa dovrà essere pagata a partire dal 16 ottobre da tutti gli intermediari degli affitti turistici
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A partire dal 16 ottobre le piattaforme di intermediazione degli affitti turistici, tra cui airbnb, dovranno cominciare a pagare la tassa del 21% inserita nella “manovrina” di correzione dei conti pubblici da 3 miliardi di euro. La piattaforma airbnb, in qualità di intermediaria degli affitti turistici, avrà l’obbligo di trattenere e versare all’Erario le imposte dovute dai proprietari di casa. La tassa, per la precisione, dovrà essere corrisposta da tutte le 20mila agenzie iscritte alla Federazione italiana degli agenti immobiliari professionali (F.i.a.i.p.).
 
Come funziona la nuova tassa?
In sostanza, viene stabilita una cedolare secca del 21%, introdotta nel 2011 per i contratti di locazione a canone libero 4+4, anche per le locazioni brevi (quelle con durata non superiore ai 30 giorni). Airbnb diventerà sostituto d’imposta: la ritenuta dovrà, infatti, essere gestita direttamente dagli intermediari. Il portale, quindi, tratterrà l’importo al momento del pagamento per poi versarlo all’Erario.
 
Le proteste di Airbnb
La protesta di Airbnb non si è fatta attendere e, per il tramite di Alessandro Tommasi (Airbnb Italy) ha subito evidenziato il danno che la nuova tassa recherà non solo al portale quanto anche al turismo italiano. Grazie ad Airbnb, sostiene Tommasi, sono giunti in Italia circa 5 milioni e 856 mila turisti con una permanenza media di 3,7 notti a soggiorno. Tali numeri potrebbero subire dei cali. La protesta di airbnb, tuttavia, non si ferma a queste motivazioni ma riguarda anche i tempi di attuazione della disposizione: la legge è operativa da giugno 2017 e il 12 luglio l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una circolare con le indicazioni per adottare il sistema della cedolare secca, definendo la scadenza per i primi versamenti al 17 luglio. Tempi tanto stretti da costringere gli operatori, secondo airbnb e altri soggetti interessati, a non rispettare la legge. Per questo motivo, a inizio agosto, è arrivata la proroga: i versamenti dovranno essere effettuati a partire dal 16 ottobre utilizzando il codice tributo 1919 tramite il modello F24. Il versamento verrà effettuato entro il giorno 16 di ogni mese per le locazioni del mese precedente.
Airbnb, inoltre, al fine di garantire la più totale trasparenza nella gestione dei versamenti, dovrà inviare una certificazione annuale indicante tutti gli importi pagati.

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