STUDIO LEGALE PALUMBIERI
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26/6/2019

Marchio Adidas? Per il Tribunale UE è nullo

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​Il Tribunale dell'Ue si è espresso sulla validità del marchio Adidas, azienda di abbigliamento sportivo conosciuta in tutto il mondo, consistente in tre strisce parallele poste alla stessa distanza, di uguale larghezza e applicate in qualsiasi direzione.

La storia del marchio Adida

Le tre bande di Adidas, pensate nel 1920, sono tornate a rappresentare l’azienda nel 1996, dopo una pausa che dal 1972 aveva visto l’adozione del “trifoglio”, simboleggiante lo spirito olimpico.

La registrazione del marchio Adida

L’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo) nel 2014 aveva registrato il marchio dell’Adidas. I prodotti per i quali è stata richiesta e ottenuta la registrazione rientrano nella classe 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza e corrispondono alla descrizione: «Abbigliamento; scarpe; cappelleria».
Nel 2016, tuttavia, a seguito di ricorso presentato il 16 dicembre 2014 dall’impresa belga Shoe Branding Europe, la registrazione era stata annullata in quanto il marchio era privo di qualsiasi carattere distintivo

La decisione del Tribunale UE

Al fine di tutelare il proprio marchio, Adidas avrebbe dovuto, dunque, dimostrare il carattere distintivo assunto dalle tre bande dinanzi al Tribunale UE.
Sul punto, la società con sede a Herzogenaurach, in Baviera, non è riuscita a fornire una tesi convincente e, di conseguenza, il marchio è stato dichiarato nullo.
Ecco la sentenza del Tribunale

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14/6/2019

Ergastolo, la decisione della Corte di Strasburgo

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La legge che regola il carcere a vita viola il diritto del condannato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e, quindi, dev’essere rivista perché contrario all’art 3 della Convenzione europea per i diritti umani. A stabilirlo è stata la Corte Europea dei Diritti Umani.

La Corte europea per i diritti umani

La CEDU è stata istituita nel 1959 ed è un organo giurisdizionale internazionale. Si badi che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo non fa parte dell'Unione europea. 

L’ergastolo in Italia

Per ergastolo ostativo, nel nostro ordinamento, s’intende la pena che prevede la reclusione a vita, il c.d. “fine pena mai”. Questo si differenzia rispetto al normale ergastolo perché, se nel secondo caso il condannato ha diritto ad alcuni benefici, nel primo non è previsto alcun tipo di beneficio o di premio.

La decisione sull’ergastolo

In particolare, la Corte ha osservato che colui che viene condannato al carcere a vita (ergastolo ostativo) non ha diritto ad ottenere alcun beneficio. Egli, infatti, non può usufruire della riduzione della pena o di permessi d’uscita. L’unico modo che un condannato all’ergastolo ha di poter usufruire di determinati benefici è collaborare con la giustizia. Ciò, secondo la CEDU, porta ad un’equiparazione della mancanza di collaborazione a una presunzione irrefutabile di pericolosità per la società.
La Corte ha evidenziato che la scelta di collaborare non è sempre “libera” e che, quindi, «non si può presumere che ogni collaborazione con la giustizia implichi un vero pentimento e sia accompagnata dalla decisione di tagliare ogni legame con le associazioni per delinquere>>.
Nella sentenza, inoltre, si afferma che privare un condannato di qualsiasi possibilità di riabilitazione viola la dignità umana, principio base su cui si fonda la convenzione europea dei diritti umani,

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12/6/2019

TABELLE DI MILANO: IL RAPPORTO DI CONVIVENZA EQUIVALE A QUELLO MATRIMONIALE - ​CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA N. 14746/19

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La Corte di Cassazione, nell'interpretare le tabelle di Milano, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ha statuito l’equiparazione tra convivenza more uxorio e convivenza coniugale fondata sul matrimonio (Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 14746/19, depositata il 29 maggio).

Le tabelle di milano

La Corte in particolare, ha evidenziato che le tabelle di Milano costituiscono parametro per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona. Una loro applicazione erronea configura, dunque, una violazione di legge censurabile in sede di legittimità. 
 
Per quanto in questa sede rilevante, inoltre, la Corte ha stabilito, per il risarcimento a favore della convivente del defunto, un importo «pari a circa la metà della misura minima prevista dalla corrispondente forbice tabellare, giustificando tale determinazione in ragione del ritenuto normale consolidamento dei rapporti di affetto e di condivisione, nell’ambito delle convivenza di fatto, “in tempi molto più ampi che nei legami affettivi tra i componenti di una coppia unita in matrimonio”». 

le motivazioni

In base a quanto deciso dalla Corte capitolina, la motivazione a contrario risulterebbe giustificata in modo esclusivo su una specifica discriminazione ontologica tra le convivenze di fatto e i rapporti coniugali fondati sul matrimonio e sarebbe lesiva degli stessi criteri adottati nelle c.d. "tabelle di Milano" utilizzate a fondamento della liquidazione operata, attesa l’espressa completa equiparazione (contenuta in dette tabelle) tra convivenze more uxorio e convivenze coniugali fondate sul matrimonio.

In conclusione, in tema di danno non patrimoniale, qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle "tabelle" predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti da dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l’id quod plerumque accidit, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate.

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3/6/2019

Riproduzione inserita in un marchio complesso: non c'è contraffazione se il consumatore non confonde i prodotti

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Con la sentenza n. 10205 dell’11 aprile 2019, la Corte di Cassazione si è espressa nella causa promossa da Green Power Spa contro Enel Green Power Spa e Enel Spa. 

​Il caso

Il procedimento nasce nel 2009, anno in cui la Green Power Spa conveniva avanti al Tribunale di Roma la Enel Green Power Spa, chiedendo di accertare e dichiarare la contraffazione dei diritti di esclusiva, di modificare la denominazione sociale con condanna al risarcimento dei danni. 

la decisione

La Corte ha così deciso:

L'usurpazione o la contraffazione di un marchio preusato o registrato può sussistere anche se la riproduzione sia inserita in un marchio complesso. In tal caso ai fini dell'accertamento dell'esistenza della contraffazione non può essere attribuita a ciascun elemento del marchio complesso uguale funzione individualizzante e differenziatrice, ma è necessario stabilire a quali dei molteplici elementi del marchio complesso può essere diretta di preferenza l'attenzione dei consumatori. ​

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