Hermes sta agendo nei confronti del creatore di 100 NFT "MetaBirkins", raffiguranti l'iconica borsa Birkin.
Il caso MetaBirkins
Nel caso di specie Hermès ha prima notificato una diffida e poi agito in giudizio nei confronti di Mason Rothschild, l'individuo dietro la creazione dei 100 NFT MetaBirkins, di cui il primo è stato venduto su OpenSea il 3 dicembre 2021 per $ 42.000, generando un volume di ricavi pari a $ 1.100.000.
Rothschild, sul suo profilo instagram, in una lettera aperta ha sottolineato i suoi diritti di artista e il carattere di denuncia delle sue opere, specie verso la crudeltà nei confronti degli animali per le produzioni del mondo della moda.ââ
La questione
La questione, tutt'altro che semplice, riguarda la configurabilità della violazione del marchio nell'ambito NFT.
E' chiaro, infatti, che Hermès detiene diritti su nome e configurazione della borsa Birkin. Ciò che pare essere in discussione è l'estensione di tali diritti alle borse virtuali o, comunque, alla vendita di NFT. Peraltro resta da analizzare ulteriormente il profilo correlato alla dimostrazione della confusione in cui il prodotto digitale ha indotto il consumatore. A far propendere per una risposta affermativa c'è un dato che rende questo caso distinguibile dagli altri: il prezzo. Se, infatti, in precedenza, altri NFT avevano fatto esplicito riferimento o, comunque, richiamato marchi particolarmente noti ma ad un prezzo di vendita che si aggirava attorno ai 10$, come nel caso delle borse Gucci NFT, in questo caso il prezzo di vendita è vicino alle borse prodotte dall'azienda francese.
In attesa di una decisione sul punto, le MetaBirkins sono state eliminate dallo store OpenSea ma, ovviamente, chi ha già acquistato gli NFT ne rimane in possesso.
Il Tribunale dell'Ue si è espresso sulla validità del marchio Adidas, azienda di abbigliamento sportivo conosciuta in tutto il mondo, consistente in tre strisce parallele poste alla stessa distanza, di uguale larghezza e applicate in qualsiasi direzione. La storia del marchio Adida Le tre bande di Adidas, pensate nel 1920, sono tornate a rappresentare l’azienda nel 1996, dopo una pausa che dal 1972 aveva visto l’adozione del “trifoglio”, simboleggiante lo spirito olimpico. La registrazione del marchio Adida L’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo) nel 2014 aveva registrato il marchio dell’Adidas. I prodotti per i quali è stata richiesta e ottenuta la registrazione rientrano nella classe 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza e corrispondono alla descrizione: «Abbigliamento; scarpe; cappelleria». Nel 2016, tuttavia, a seguito di ricorso presentato il 16 dicembre 2014 dall’impresa belga Shoe Branding Europe, la registrazione era stata annullata in quanto il marchio era privo di qualsiasi carattere distintivo La decisione del Tribunale UE Al fine di tutelare il proprio marchio, Adidas avrebbe dovuto, dunque, dimostrare il carattere distintivo assunto dalle tre bande dinanzi al Tribunale UE.
Sul punto, la società con sede a Herzogenaurach, in Baviera, non è riuscita a fornire una tesi convincente e, di conseguenza, il marchio è stato dichiarato nullo. Ecco la sentenza del Tribunale Dalla decadenza al recupero dell’esclusività Ormai il caso Supreme non è neppure più un “caso”. Tutti lo conoscono e molti tentano di imitarlo. Ma, con un’analisi corretta, si può evidenziare un elemento di evoluzione fondamentale del settore.
Fino a pochi anni fa, infatti, sembrava che tutti i machi più famosi stessero conducendo una gara a…nascondere il proprio logo. E, in effetti, il mercato richiedeva questo. Basti pensare al calo di Gucci nel 2014, quando proprio la onnipresenza del logo causò non pochi problemi al brand. Ma adesso le cose stanno cambiando ed è proprio questa la chiave di lettura da evidenziare nel caso Supreme. Il brand, infatti, ci ha insegnato come rendere un logo esclusivo e Balenciaga e Oscar de la Renta non fanno che seguire l’esempio insieme a brand più consumer-friendly come Levi Strauss & Co. con le magliette "batwing". La tutela del brand, però, passa sempre da una corretta e ampia registrazione. Le imitazioni e i falsi sono sempre dietro l’angolo. Lo sa bene Diesel che, recentemente, ha persino pensato di cavalcare l’onda del fake con una capsule collection “Deisel” venduta a New York in Canal Street, una delle “vie dei falsi” maggiormente note in città. Sul punto è intervenuto il Tribunale UE Qualcuno le ha amate. Molti le hanno criticate ma difficilmente troverete qualcuno che non conosca le ciabatte Crocs. Si tratta delle iconiche calzature con il coccodrillo che, di recente, sono tornate alla ribalta proprio per una questione giuridica.
Tra gli elementi distintivi delle ciabatte statunitensi c’è, senza dubbio, il disegno ormai copiato da molti produttori. Disegno che la società con sede in Colorado ha cercato di registrare. In particolare, il primo tentativo risale al 2004 quando la Crocs aveva richiesto la registrazione negli States e, dopo, presso l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale. Alla registrazione si era opporta la società francese Gifi Diffusion. L'argomentazione a sostegno dell'opposizione poggiava le proprie basi sulla antecedente divulgazione del design delle ciabatte avvenuta nel 2002 (due anni prima della richiesta). Secondo le regole europee, infatti, un design può essere protetto solo se è “nuovo” o, per meglio dire, nel solo caso in cui la protezione sia stata richiesta meno di un anno dopo il lancio pubblico. La divulgazione, invece, sarebbe avvenuta durante l’esposizione in Florida al Salone nautico di Fort Lauderdale del 2002 mentre la richiesta risale al 2004, quindi oltre i termini previsti. Ebbene, in questi giorni è arrivata la conferma: il Tribunale UE ha annullato la registrazione del disegno delle famose ciabatte perché il disegno era stato già divulgato al pubblico prima della richiesta di registrazione. La società fondata fondata da Lyndon Hanson, Scott Seamans e George Boedecker ha ora due mesi per impugnare la decisione. |
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April 2022
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