I numeri del biologico non avrebbero bisogno di essere ribaditi. Tuttavia, non c’è modo migliore di spiegare l’importanza del settore. Quindi basti ribadire che lo scorso anno, secondo Coldiretti, il 60% degli italiani ha acquistato prodotti BIO, anche pagando il 15% in più rispetto ai prodotti non bio, con un aumento della domanda per gli ortaggi (+48%), i cereali (+32%), la vite (+23%) e l’olivo (+23%). Aumentano anche gli ettari a coltivazione biologica con un +20% rispetto allo scorso anno con maggiore concentrazione in Sicilia, Puglia e Calabria. L’export italiano di prodotti BIO, infine, è il più alto d’Europa con un valore pari a circa 2 miliardi di euro.
Insomma, un settore di vitale importanza su cui le imprese del food investono con sempre più frequenza. Forse anche per questo il CdM ha approvato il decreto legislativo che pone regole precise per controlli e controllori della filiera bio. Lo scopo è quello di imporre maggiori controlli per dare più sicurezza e trasparenza anche tramite informazioni migliori. L’attenzione è stata focalizzata, in primo luogo, sulla tracciabilità con l’introduzione dell’obbligo di registrare il percorso dalla materia prima al prodotto trasformato. Inoltre, al fine di eliminare eventuali conflitti di interesse, chi fa parte di un organismo di controllo non potrà più detenere partecipazioni in un consorzio o recarsi più di tre volte dallo stesso produttore. A ciò si aggiunge un inasprimento delle pene per gli enti certificatori e la creazione di una <<banca dati per le transazioni bio>> al fine di reprimere le frodi che, peraltro, ricorda molto l’idea di blockchain (qui per leggere l’articolo). Un generale inasprimento delle norme che, accompagnato dall’introduzione di nuovi divieti e obblighi, mira a rendere più sicuro un settore in continua crescita. Dalle criptovalute al food: come utilizzare questa preziosa innovazione Uno dei miei interessi principali, in questo periodo, è rappresentato dallo studio del fenomeno delle criptomonete. Come molti sapranno, si tratta di valute virtuali gestite, a seconda dei casi, da tecnologie comunque legate al metodo blockchain.
Non è questa, ovviamente, la sede in cui discutere delle valute ma, ragionando sul rapporto tra questa passione e il diritto alimentare ho pensato alle possibili applicazioni della tecnologia blockchain al settore food. In primo luogo, chiariamo: cos’è la tecnologia blockchain? Nel mondo delle criptomonete questa tecnologia viene utilizzata per archiviare e condividere informazioni. In sostanza, agendo in assenza di banche centrali, tali informazioni viaggiano su una rete decentralizzata di dati permettendo la registrazione di tutte le transazioni e, conseguentemente, la possibile consultazione delle stesse da parte di tutti gli utenti. Come potrebbe essere utilizzata nel settore alimentare? Chiunque abbia mai interagito con una filiera alimentare ne conosce il mantra: la tracciabilità. Non è più solo una questione di norme ma è diventata una questione di comunicazione e qualità. Ebbene, è qui che, con tutta probabilità, potrebbe entrare in gioco la tecnologia blockchain. A ben pensarci, infatti, il passaggio di materie prime, ingredienti, lavorati e semilavorati da un’azienda all’altra potrebbe essere equiparata alle transazioni effettuate in criptovalute. Un sistema di archiviazione e comunicazione decentralizzato, dunque, in grado di riportare, in ogni momento, tutte le informazioni necessarie sull’alimento analizzato. Pensiamo al consumatore che, tramite un codice (QR code come nel caso delle cripto), riesca a risalire all’origine di anche uno solo degli ingredienti presenti nel prodotto che sta acquistando o consumando o il luogo di nascita dell’animale oppure gli antibiotici e i vaccini utilizzati. E’ utile? Potrebbe esserlo. Due, infatti, sono i possibili risvolti pratici: prevenzione delle frodi e sicurezza alimentare. Da un lato, infatti, con dati precisi la blockchain sarebbe in grado di fornire immediatamente informazioni precise e pressoché impossibili da modificare prevenendo, così, ogni tentativo di frode. Dall’altro lato, invece, la stessa tecnologia garantirebbe una elevatissima reattività in caso di problemi legati alla sicurezza alimentare dei prodotti. Tramite la blockchain, infatti, potrebbe essere semplicissimo sapere dove è stato coltivato il pomodoro utilizzato per un barattolo di salsa, chi l’ha ispezionato, chi l’ha imbustata, come l’ha fatto e da chi è stata trasportata e commercializzata. Un esempio: la catena Walmart – che ha introdotto la blockchain – ha effettuato due test cercando di rintracciare la fattoria d’origine dei manghi venduti. In caso di problemi di food safety, infatti, è essenziale risalire correttamente all’origine del prodotto per bloccarne la vendita e selezionare e ritirare i prodotti già commercializzati. Ebbene, senza la tecnologia blockchain sono stati necessari sei giorni per effettuare la ricerca. Con la tecnologia 2 secondi. Il tempo risparmiato potrebbe salvare vite umane. Un utilizzo auspicabile su larga scala, dunque, che potrebbe essere finalizzato alla tutela del consumatore ma anche alla garanzia di qualità per gli imprenditori del settore alimentare. Sugli scaffali un prodotto su cinque evidenzia l'assenza di determinati ingredienti ma attenzione ai claims in etichetta Senza olio di palma. Senza glutine. Senza zuccheri aggiunti. Probabilmente non ce n’era bisogno ma una ricerca Coldiretti ha evidenziato la preferenza degli italiani per i cibi “senza”.
La ricerca, effettuata sulla base dell’Osservatorio Immagino su 46.600 prodotti, ha evidenziato che negli scaffali dei nostri supermercati un prodotto su cinque evidenzia sulla confezione l’assenza di determinati ingredienti ormai considerati nocivi dai consumatori. Il relativo giro d’affari si attesta a 6,5 miliardi con una crescita del 3,1% su base annua a giugno 2017. A crescere maggiormente sono le vendite di alimenti senza olio di palma (+17,6%) seguiti da cibi senza o con ridotto contenuto in grassi saturi (+7,6%) e quelli garantiti per l’assenza di sale (+7,2%). In forte crescita sono anche i prodotti senza zuccheri aggiunti (+6,1%), con poche calorie(+3,4%) e senza additivi (+3,4%). La ricerca non fa che mettere in evidenza l’importanza di un uso corretto, da parte degli imprenditori, dei c.d. claims. L’etichetta, infatti, può essere utilizzata dal produttore anche per dare al prodotto maggior valore tramite ulteriori indicazioni nutrizionali e sulla salute. Per “indicazione nutrizionale” si intende qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda che un alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche, dovute all’energia (valore calorico) che apporta, a tasso ridotto o accresciuto o non apporta; e/o alle sostanze nutritive o di altro tipo che contiene, contiene in proporzioni ridotte o accresciute o non contiene. Il regolamento 1924/2006, a tal proposito, introduce il concetto di “claims” (tipico esempio di claim è “a basso contenuto calorico” o “ricco di proteine”) dando ai produttori dei criteri da rispettare per poter valorizzare l’alimento commercializzato senza, però, trarre in inganno il consumatore. Ad esempio: Claim “basso contenuto calorico” Nei prodotti solidi: non più di 400 kcal/100g Nei prodotti liquidi: non più di 20 kcal/100 ml Claim “Basso contenuto di grassi” Nei prodotti solidi: non più di 3g/100g Nei prodotti liquidi: non più di 1,5g/100 ml Claim: “Senza grassi” Nei prodotti solidi: non più di 0,5 g/100g Nei prodotti liquidi: non più di 0,5g/100 ml Claim: “Basso contenuto di zuccheri” Nei prodotti solidi: non più di 5g/100g Nei prodotti liquidi: non più di 2,5g/100 ml Claim: “Senza zuccheri” Nei prodotti solidi: non più di 0,5g/100g Nei prodotti liquidi: non più di 0,5g/100 ml Claim: “Fonte di fibre” Nei prodotti solidi: almeno 3g/100g o Almeno 1,5 g/100 kcal Claim: “alto contenuto di fibre” Nei prodotti solidi: almeno 6g/100g o almeno 3g/100 kcal Claim: “fonte di proteine” Nei prodotti solidi: solo se almeno il 12 % del valore energetico dell'alimento è apportato da proteine Claim: “alto contenuto di proteine” Nei prodotti solidi: solo se almeno il 12 % del valore energetico dell'alimento è apportato da proteine Ne sentiamo parlare da un po'. Cerchiamo di capire cosa bolle in pentola Gli insetti edibili al centro delle discussioni anche sui social ma le norme garantiscono la loro sicurezza.
Sono un curioso alimentare, assaggio quasi tutto e mi piace provare cucine di ogni genere. Non posso pretendere di convincervi ad assaggiare gli insetti (cosa che io ho già fatto) ma posso assicurarvi una cosa: gli insetti sono sicuri come tutti gli altri cibi acquistabili online e offline. D’altronde non parliamo propriamente del primo caso di “nuovo alimento” per noi. Altri esempi, ben più famosi, sono pomodori, banane, frutti tropicali, riso, mais e una vasta gamma di spezie. A ciò si aggiunga che l’uso di insetti come fonte di alimentazione ha, potenzialmente, importanti benefici per l’ambiente, per la sicurezza della disponibilità alimentare e per l’economia. Non si possono, infatti, ignorare due aspetti: quello nutrizionale e quello ambientale. Aspetti nutrizionali Gli insetti sono una fonte particolarmente importante di cibo nutriente. Forniscono, infatti, proteine, amminoacidi e acidi grassi mentre il contenuto di grassi può variare tra 7 e 77 g ogni 100 g di peso secco. Anche il contenuto di micronutrienti e fibre è particolarmente elevato. Aspetti ambientali Anche dal punto di vista ambientale gli insetti costituiscono una importante novità. Il primo aspetto rilevante è quello relativo al consumo del suolo. Gli insetti, infatti, hanno un’efficienza di conversione nutrizionale decisamente superiorerispetto alla carne di manzo e utilizzano meno acqua. Per efficienza di conversione nutrizionale si intende il rapporto tra cibo e massa. In media, gli insetti possono convertire 2 kg di cibo in 1 kg di massa, laddove un bovino necessita 8 kg di cibo per produrre l’aumento di 1 kg di peso corporeo. Il secondo aspetto da tenere in considerazione, invece, è quello relativo alle emissioni di gas serra. Dalle ricerche FAO, infatti, è emerso che le emissioni di gas a effetto serra sono minori rispetto ai tradizionali allevamenti animali, con una media di un 1 g su un 1 kg di peso rispetto ai 1300 grammi dei suini e ai 2850 dei bovini. Se anche queste argomentazioni non dovessero bastare, ecco qualche buon motivo giuridico per credermi. Cosa sono i “novel foods”? Gli insetti costituiscono, tecnicamente, “nuovi alimenti” o “novel foods”. Anzi, più precisamente, qualsiasi alimento che non sia stato consumato in modo significativo prima del maggio 1997 è da considerarsi come nuovo alimento. La categoria, in effetti, è abbastanza ampia: vi rientrano alimenti da nuove fonti, alimenti totalmente nuovi e nuove modalità e tecnologie di produzione degli alimenti. Qual è il procedimento da seguire per commercializzarli? Ebbene, in base alle norme attualmente vigenti, il ruolo di “garante” dei nuovi alimenti viene affidato alla European Food Safety Authority (EFSA) o Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. Questa, in particolare, è tenuta a svolgere una valutazione scientifica del rischio. Tale valutazione è basata sui fascicoli forniti alla Commissione Europea dai richiedenti, contenenti informazioni sul processo produttivo dell’alimento, sugli usi proposti, sul livelli di utilizzo nonché dati sulle caratteristiche nutrizionali, di composizione, tossicologiche e allergeniche dell’alimento. Nel caso specifico degli insetti, inoltre, sarà necessario provare l’impiego sicuro di questi in almeno un Paese al di fuori dell’Unione europea per un periodo di almeno 25 anni. Ora, pochi giorni fa il Ministero della Salute ha emanato una nota informativa in merito all’uso di insetti in campo alimentare, specificando che, in mancanza della specifica autorizzazione, in Italia non è ammessa alcuna commercializzazione di insetti. Il primo parere dell’EFSA L’EFSA, tuttavia, sulla sicurezza degli insetti si è già espressa nell’ambito di un parere fornito a supporto del progetto della Commissione Europea volto allo sviluppo di politiche in materia di nuovi prodotti alimentari. L’Autorità, in particolare, basandosi sulla letteratura scientifica, su valutazioni effettuate dagli Stati membri e su informazioni fornite da parti interessate, ha evidenziato come i pericoli biologici e chimici derivanti da insetti possano dipendere da:
In conclusione, quindi, pur dovendosi ritenere già provata la sicurezza di questo nuovo alimento, dovremo ancora aspettare un po’ per vedere gli insetti sugli scaffali dei nostri supermercati. La “trafila burocratica”, infatti, deve essere portata a conclusione e i tempi potrebbero non essere brevi: la Commissione Europea dovrà autorizzare la commercializzazione di ogni prodotto e razza di insetto edibile. Immagine di copertina - Credits: shankar s. su Flickr (CC BY 2.0) L’intervento dell’EFSA e della Commissione Europea Come la mela di Biancaneve. Un frutto bellissimo – e anche particolarmente buono – come l’albicocca cela un veleno altrettanto potente. Parliamo dell’acido cianidrico (HCN), altrimenti detto cianuro, che può essere sprigionato dalla amigdalina contenuta nel seme di questo frutto. Tale sostanza, dopo l’ingestione, si trasforma nel suo ione cianuro (CN) il quale, arrestando alcune reazioni della respirazione cellulare, può provocare febbre, mal di testa, nervosismo, ipotensione, febbre, dolori muscolari e articolari.
Nonostante ciò, si sono diffusi online articoli e post che sottolineavano le proprietà antitumorali dei semi stessi. Tali proprietà, pur non essendo in alcun modo scientificamente provate, hanno comunque generato un flusso di acquisto che ha determinato l’EFSA – l’Autorità europea per la sicurezza alimentare - ad intervenire. In particolare, l’Autorità ha evidenziato che “il gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha adottato un parere scientifico sui rischi acuti per la salute connessi alla presenza di glicosidi cianogenicinei semi di albicocca grezzi e nei loro prodotti derivati”. Il gruppo, quindi, ha individuato una dose acuta di riferimento (DAR) di 20 μg/kg di peso corporeo. In sostanza, la DAR sarebbe superata già con il consumo di pochissimi semi di albicocca non trasformati. La Commissione, infine, è intervenuta con il regolamento (UE) 2017/1237 modificando il regolamento (CE) n. 1881/2006 e prevedendo che “L'operatore che immette sul mercato semi di albicocca non trasformati interi, macinati, moliti, frantumati, tritati per il consumatore finale dimostra, su richiesta dell'autorità competente, che il prodotto commercializzato rispetta il tenore massimo”. In Gazzetta il D.lgs. n. 231/2017, inerente alla disciplina sanzionatoria in tema di informazione sui prodotti alimentari E’ finalmente arrivato. Il decreto legislativo n. 231/2017, inerente alla disciplina sanzionatoria in tema di informazione sui prodotti alimentari, regola il quadro sanzionatorio inerente alle violazioni del reg. 1169/2011 da un lato e, dall’altro, le disposizioni relative agli alimenti non preimballati, alla gastronomia e al take-away, ai semi-trasformati e agli alimenti somministrati dalle collettività.
Le sanzioni, in particolare, scatteranno dal 9 maggio prossimo e verranno irrogate dal Dipartimenti dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressioni frodi del Mipaaf. Il responsabile dell’attuazione del Regolamento 1169/2011 è, come noto, l’OSA con cui il nome o ragione sociale è commercializzato il prodotto ovvero colui che importa nel territorio UE un prodotto realizzato in territorio extra-europeo. Peculiarità del Dlgs in commento è che, in fase transitoria, gli alimenti immessi sul mercato o etichettati prima del 9 maggio p.v. potranno essere commercializzati fino ad esaurimento scorte. Escluse dal nuovo regime sanzionatorio sono, invece, tutte le forniture effettuate ad organizzazioni no profit e finalizzate alla successiva cessione a titolo gratuito a persone indigenti purché le irregolarità riscontrate non riguardino la data di scadenza o le informazioni su sostanze che possono provocare allergie o intolleranze. In sostanza, dunque, il decreto prevede un generale inasprimento delle sanzioni. Tale inasprimento, tuttavia, viene accompagnato da diversi meccanismi premiali e di compensazione. A titolo esemplificativo: verrà applicato un abbattimento della sanzione amministrativa pari al 30% nel caso in cui questa dovesse essere pagata entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione. |
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April 2022
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