Le regole UE a tutela della salute dell'uomo Spesso ignoriamo il fatto che sui prodotti alimentari presenti nei nostri mercati possano essere presenti dei residui di fitofarmaci. Ebbene, è così ma non c’è nulla di cui preoccuparsi. Anche in questo caso, come in molti altri, le norme ci vengono in aiuto determinando limiti severi per la presenza di residui di fitofarmaci.
Cosa sono i fitofarmaci? Generalmente vengono associati ai pesticidi. Tecnicamente, però, questo termine è leggermente più ampio rispetto a quello di fitofarmaci, i quali comprendono erbicidi, acaricidi, fungicidi, insetticidi, repellenti e fitoregolatori e vengono utilizzati per mantenere in salute le colture. Come vengono regolati? Sono diverse le norme dell’Unione Europea poste a regolamento delle commercializzazione e delle modalità d’uso dei prodotti fitosanitari. I passaggi affinché questi prodotti possano essere utilizzati sono due: per prima l’EFSA (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) valuta le sostanze contenute nei prodotti e, successivamente, sulla base di tale valutazione, gli Stati membri autorizzano i prodotti a livello nazionale. Come svolge l’EFSA il proprio compito? È evidente, quindi, come in questo processo assuma un ruolo determinante l’EFSA. Questa, infatti, fornisce una consulenza scientifica, effettuando la valutazione del rischio. Tale compito spetta all’unità “pesticidi” dell’EFSA e mira a definire se i prodotti sottoposti a verifica, in normali condizioni d’uso, possano nuocere alla salute dell’uomo o degli animali o, ancora, alle falde acquifere e all’ambiente. L’EFSA, tuttavia, non si limita a svolgere il compito appena descritto ma valuta anche i rischi legati alla presenza di residui di pesticidi negli alimenti trattati con prodotti fitosanitari e redige, annualmente, la relazione sui residui di pesticidi. I livelli massimi di residuo (LMR) Al fine di tutelare la salute dell’uomo, il Regolamento (CE) 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 febbraio 2005, regola i livelli massimi di residui di antiparassitari che possono essere presenti nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale. Il regolamento si applica ai prodotti di origine vegetale o animale o loro parti da utilizzare come alimenti o mangimi freschi, trasformati e/o composti, in o su cui potrebbero essere presenti residui di antiparassitari. Il documento, inoltre, offre una specifica definizione di residui di antiparassitariche vengono identificati come i residui - incluse le sostanza attive, i metaboliti e/o prodotti di degradazione o reazione di sostanze attive attualmente o precedentemente utilizzate in prodotti fitosanitari - che sono presenti nei o sui prodotti, compresi in particolare quelli che possono risultare da un utilizzo in campo fitosanitario, veterinario o quali biocidi. I prodotti di origine vegetale o animale in questione, a partire dal momento in cui sono immessi sul mercato, non devono contenere residui di parassitari il cui tenore superi i cosiddetti LMR (Limiti Massimi di Residuo), ossia la concentrazione massima ammissibile di residui di antiparassitari individuata dal regolamento. I suoi allegati n. II, III e IV, infatti, stabiliscono un limite massimo per ogni categoria di alimento mentre, per quelli non presenti in elenco, si prende in considerazione la soglia dello 0,01mg/kg. Ricapitolando: è vero, è possibile trovare residui di fitofarmaci sugli alimenti. Tuttavia, come visto, le procedure di controllo e le norme europee garantiscono la salute dell'uomo da ogni relativo pericolo. Dalla decadenza al recupero dell’esclusività Ormai il caso Supreme non è neppure più un “caso”. Tutti lo conoscono e molti tentano di imitarlo. Ma, con un’analisi corretta, si può evidenziare un elemento di evoluzione fondamentale del settore.
Fino a pochi anni fa, infatti, sembrava che tutti i machi più famosi stessero conducendo una gara a…nascondere il proprio logo. E, in effetti, il mercato richiedeva questo. Basti pensare al calo di Gucci nel 2014, quando proprio la onnipresenza del logo causò non pochi problemi al brand. Ma adesso le cose stanno cambiando ed è proprio questa la chiave di lettura da evidenziare nel caso Supreme. Il brand, infatti, ci ha insegnato come rendere un logo esclusivo e Balenciaga e Oscar de la Renta non fanno che seguire l’esempio insieme a brand più consumer-friendly come Levi Strauss & Co. con le magliette "batwing". La tutela del brand, però, passa sempre da una corretta e ampia registrazione. Le imitazioni e i falsi sono sempre dietro l’angolo. Lo sa bene Diesel che, recentemente, ha persino pensato di cavalcare l’onda del fake con una capsule collection “Deisel” venduta a New York in Canal Street, una delle “vie dei falsi” maggiormente note in città. Il modello dell’etichettatura a semaforo perde i primi pezzi. La ricerca, infatti, di una soluzione gradita ai consumatori non ha portato a buoni risultati e Mars ha deciso di abbandonare Coca-Cola, Mondelèz International, Unilever e PepsiCo chiedendo una soluzione europea al problema. In particolare, ad assumere rilevanza per la decisione della multinazionale, è stata la necessità di fare il punto della situazione tramite un Regolamento UE volto all’armonizzazione della materia.
Ad essere particolarmente critica nei confronti dell’etichettatura a semaforo era stata, tra le altre, la ONG foodwatch, un gruppo d'interesse focalizzato sulla protezione dei diritti dei consumatori, la quale aveva sostenuto che il modello dei semafori britannici permettesse di mostrare meno “luci rosse” consentendo, quindi, di vendere come sani prodotti che, in realtà, non lo erano. Tale sistema di etichettatura riporta per 100g di alimento il contenuto in grassi, grassi saturi, sale e zuccheri ed evidenzia segnalando, con i colori del semaforo, i valori elevati, di media e bassa intensità. In tal modo l’etichetta segnala, con il colore rosso, i contenuti pericolosi per la nostra salute. Tale modello, tuttavia, è stato ampiamente criticato in particolar modo perché prende in considerazione 100g di prodotto anche nei casi in cui, come per l’olio d’oliva, risulti pressoché impossibile consumarne una tale quantità giornaliera. Sono in molti, adesso, a spingere per l’applicazione delle etichette nutrizionali francesi, definite nutri-score, nelle quali il rosso indica un alimento da assumere con moderazione, il giallo invita al consumo non esagerato e il verde indica un cibo sano. Sul punto è intervenuto il Tribunale UE Qualcuno le ha amate. Molti le hanno criticate ma difficilmente troverete qualcuno che non conosca le ciabatte Crocs. Si tratta delle iconiche calzature con il coccodrillo che, di recente, sono tornate alla ribalta proprio per una questione giuridica.
Tra gli elementi distintivi delle ciabatte statunitensi c’è, senza dubbio, il disegno ormai copiato da molti produttori. Disegno che la società con sede in Colorado ha cercato di registrare. In particolare, il primo tentativo risale al 2004 quando la Crocs aveva richiesto la registrazione negli States e, dopo, presso l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale. Alla registrazione si era opporta la società francese Gifi Diffusion. L'argomentazione a sostegno dell'opposizione poggiava le proprie basi sulla antecedente divulgazione del design delle ciabatte avvenuta nel 2002 (due anni prima della richiesta). Secondo le regole europee, infatti, un design può essere protetto solo se è “nuovo” o, per meglio dire, nel solo caso in cui la protezione sia stata richiesta meno di un anno dopo il lancio pubblico. La divulgazione, invece, sarebbe avvenuta durante l’esposizione in Florida al Salone nautico di Fort Lauderdale del 2002 mentre la richiesta risale al 2004, quindi oltre i termini previsti. Ebbene, in questi giorni è arrivata la conferma: il Tribunale UE ha annullato la registrazione del disegno delle famose ciabatte perché il disegno era stato già divulgato al pubblico prima della richiesta di registrazione. La società fondata fondata da Lyndon Hanson, Scott Seamans e George Boedecker ha ora due mesi per impugnare la decisione. Una analisi dei soggetti responsabili, delle modalità di controllo e delle tutele previste dalle norme UE Recentemente ho più volte toccato, sia su questo blog che su retroattivamente.it il tema delle D.O.P. e I.G.P.. In questo ultimo articolo dedicato al settore, quindi, non rimane che analizzare due fattori importanti: i relativi controlli e tutela.
I controlli Abbiamo già visto come al centro della definizione di D.O.P. e I.G.P. vi sia il disciplinare di produzione: le aziende, in sostanza, devono seguire tale disciplinare ma ciò che in questa sede assume rilevanza sono, appunto, i controlli sull’osservanza dello stesso. Le norme di riferimento puntano, da un lato, ad individuare le modalità di svolgimento dei controlli e, dall’altro, i soggetti responsabili degli stessi. Le modalità di svolgimento dei controlli consistono in un processo di certificazione volto a valutare che il prodotto risponda ai requisiti fissati nel disciplinare. I soggetti responsabili devono possedere requisiti di imparzialità, terzietà e professionalità e possono essere sia enti pubblici che privati con la differenza che, questi ultimi, devono a loro volta essere certificati. La tutela Ovviamente i marchi D.O.P. e I.G.P. conferiscono ai relativi prodotti una particolare tutela rinvenibile nel dettato dell’art. 13, par. 1 del reg. 510/2006. Questo prevede la tutela delle denominazioni registrate da: a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l'uso di tale denominazione consenta di sfruttare la reputazione della denominazione protetta; b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali «genere», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili; c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sulla confezione o sull'imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati nonché l'impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sull'origine; d) qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti. Le norme UE, tuttavia, non prevedono specifici strumenti tramite i quali attuare le tutele appena menzionate ma si limitano a rinviare, sul punto, alle disposizioni dei singoli ordinamenti nazionali. Qualche giorno fa una collega che, peraltro, scrive per questo blog, mi ha chiesto quale fosse la differenza tra la nozione di D.O.P. e quella di I.G.P.. Dopo averne parlato ho pensato che, in effetti, il punto potesse non essere chiarissimo e, per questo, ho deciso di scriverne.
Partiamo da un presupposto: cosa si intende per D.O.P. e I.G.P.? La D.O.P. (denominazione di origine protetta) è un marchio di tutela giuridica che viene attribuito dall'Unione Europea a quegli alimenti che posseggono caratteristiche qualitative dovute essenzialmente o esclusivamente al territorio in cui sono stati prodotti. I fattori che, in questo caso, assumono rilevanza possono essere sia fattori umani (come le tecniche di produzione) che fattori naturali. Caratteristica delle D.O.P. è che le fasi di produzione devono avvenire in un’area geografica delimitata e devono seguire specifiche regole produttive sulla cui osservanza vigila un organismo di controllo. La I.G.P. (indicazione geografica protetta), invece, individua il nome di una determinata area geografica utile a designare un prodotto agricolo o alimentare che viene prodotto in tale zona e di cui una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possano essere attribuite proprio all’origine geografica. Tale indicazione mira a valorizzare quei prodotti che devono le proprie caratteristiche all’ambito geografico di provenienza. Qual è la differenza? La prima differenza sta proprio nel vincolo tra il prodotto e il territorio che risulta essere più stretto nel casso della D.O.P.. Nella I.G.P., infatti, è sufficiente che anche una sola caratteristica o qualità sia legata all’origine geografica dell’alimento e, per giunta, questa caratteristica può essere anche la semplice reputazione del prodotto. Inoltre, nelle D.O.P. le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione del prodotto devono essere interamente e cumulativamente svolte entro l’area geografica di riferimento mentre nelle I.G.P. è sufficiente che anche solo una delle tre trovi compimento nel territorio. In conclusione, quindi, la differenza tra D.O.P. e I.G.P. va ricercata proprio nel legame con l’area geografica designata che è meno tenue nelle seconde rispetto alle prime. Con questo post spero di aver chiarito il punto. Se, però, dovessero esserci ancora dei dubbi perché non contattarmi? Puoi farlo tramite la mail [email protected] Foto: www.felicitapubblica.it Ciao, sono Elio Palumbieri, avvocato praticante specializzato in diritto alimentare e, soprattutto, curioso alimentare.
Ho parlato spesso, su blog e riviste online, di insetti commestibili per due motivi: l’interesse dal punto di vista giuridico e quello “extra-giuridico”. Prima di parlare di questi due elementi, però, voglio chiarire una cosa: non c’è e non ci sarà concorrenza tra un buon piatto di carbonara e gli insetti edibili. Nessuno vuole privarci delle nostre tradizioni, non esiste una Europa senza scrupoli che vuole imporci gli insetti a tavola a discapito della buona e vecchia tradizione culinaria italiana e, soprattutto, non c’è una faida tra chi ama la tradizione e chi cerca contaminazioni. Gli insetti, infatti, costituiscono una opportunità in più per chi vuole variare la propria dieta e ritiene questo alimento una valida alternativa. In sostanza: insetti e carbonara non sono nemici. Questa è una precisazione che, ai più, sembrerà superflua eppure, credetemi, deriva dalla enorme quantità di commenti di questo tenore che ricevo ogni volta che tocco l’argomento insetti edibili. Fatta questa, ahimè, doverosa premessa, torno ai miei buoni motivi per parlare di insetti edibili, partendo da quello extra-giuridico. La domanda che mi viene spesso fatta è: li hai provati? La risposta è sì. 21bites, infatti, è stata così gentile da farmi assaggiare alcuni dei suoi prodotti. Li ho fatti anche provare ad altri e, devo dire, specie i prodotti “trasformati” a base di farina di insetto, sono stati particolarmente apprezzati. Persino qualche scettico ha capito che non è necessario mangiare insetti interi ma è anche possibile utilizzarli in altre forme per piatti più tradizionali e vicini alla nostra cultura. E ha gradito. Il fatto di averli assaggiati, tuttavia, non è l’unico motivo extra-giuridico che mi spinge a parlarne. Infatti, pur non ritenendomi un nazi-ambientalista, sono fermamente convinto dell’importanza del tema. Ebbene, sotto questo punto di vista non si può non evidenziare la necessità di ricercare delle forme di alimentazione alternative a quella tradizionale e maggiormente sostenibili. Non è questa la sede per discutere dei problemi legati all’ambiente ma è, invece, importante evidenziare, anche qui, i vantaggi che gli insetti possono offrire. Questi, infatti, possono convertire 2kg di cibo in 1kg di peso corporeo. Questo dato, definito come efficienza di conversione nutrizionale, è decisamente superiore rispetto, ad esempio, alla carne di manzo. Ciò significa che gli insetti necessitano di meno acqua e meno cibo. In aggiunta a questo, gli allevamenti di insetti emettono meno gas serra con 1g su 1kg di peso rispetto ai 1300 grammi per kg di peso dei suini e ai 2850 dei bovini. A fronte di questi vantaggi dal punto di vista ambientale, gli insetti costituiscono anche una fonte di cibo nutriente: fornendo proteine, amminoacidi, micronutrienti e fibre. Come ho detto, però, non ci sono solo motivazioni extra-giuridiche. Il mio interesse nasce anche – e soprattutto – dalle norme. Il mondo dei novel foods, infatti, mi ha sempre affascinato ed è stato uno dei primi che ho messo sotto la lente di ingrandimento. Sì, giuridicamente, gli insetti commestibili rientrano tra quelli che vendono definiti “novel foods” o “nuovi alimenti”. In questa categoria rientra qualsiasi alimento che non sia stato consumato in modo significativo prima del maggio 1997. Ebbene, individuata l’esatta classificazione, occorre evidenziare che anche i novel foods trovano una precisa regolamentazione volta ad assicurarne il commercio e la produzione in sicurezza. Tali norme affidano alle EFSA (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) il ruolo di garante. Questa, infatti, svolge una valutazione scientifica del rischio basandosi sui fascicoli forniti alla Commissione Europea dai richiedenti. Tali fascicoli devono contenere una serie di informazione tra cui: descrizione del processo produttivo dell’alimento, usi proposti, livelli di utilizzo e caratteristiche nutrizionali, tossicologiche, allergeniche e di composizione dell’alimento. Dunque un iter che, quando sarà completato, garantirà la sicurezza anche di questo novel food…senza inutili guerre da social network. foto: felicitapubblica.it Hi!
I am Elio Palumbieri, trainee lawyer specialized in food law and, above all, food curious. I usually write on my blog about edible insects for two main reasons: the first one is related to law and the second one is not. However, before this, I have to clarify one thing: there is not any kind of competition between, for example, pasta and insects. Nobody wants to deprive us of our culinary traditions and this is not a war. Edible insects, in fact, could represent a good alternative for those who want to modify their diet. Therefore, pasta and insects are not enemies. This could seem a pointless clarification but, believe me, it comes from the comments I receive every time I write about this topic. Anyway, after this, I can come back to my reasons to write about edible insects. The first one is going to be the non-juridical one. Usually, people ask me “did you taste them?” The answer is yes, I did. 21bites gave me the opportunity to do so and I did it with some friends. The results were different but, honestly, they preferred the processed products as the Crikelle Crickets crackers. Even some skeptical changed their mind. However, this is not the only non-juridical reason. In fact, even if I am not obsessed by environmental problems, I am sure that this is an important theme. We cannot ignore the necessity to find new and more sustainable food sources. This is not the place to talk about the environment but it is important to underline the advantages that edible insects could offer. For example, insects could convert 2kilos of food into 1kilo of bodyweight. This factor is so important to underline the impact of edible insect if we consider that normal meat-animals consume at least twice of food for kilos of bodyweight. This means that insects need less water and food. In addition, the emission of greenhouse gas is lower in insects livestock than in traditional one: 1g for 1kilo of bodyweight instead of 1300g for pork and 2850 for bovine. My interest in edible insects comes primarily from the law. I find the novel foods world interesting and this is the edible insect’s world too. In this category, you can find all the food that has never been eaten before May 1997. This kind of food has a precise regulation on production and commercialization. The European Food Safety Authority (E.F.S.A.) is entrusted with the rule of guarantee checking all the information that who wants to commercialize those products in the E.U. must submit to the European Commission. This process, when it will be completed, will guarantee the safety of this novel food. Without any war on social networks. Ormai da qualche tempo di sente parlare della necessità di tutelare e salvaguardare le api. Proprio qualche giorno fa, durante la quotidiana ricerca di novità e aggiornamenti, mi sono imbattuto in un articolo che parlava del tema evidenziando l’importanza delle stesse per il nostro ecosistema. Nulla di nuovo, in effetti, ma questa volta mi sono soffermato a pensare a quali potessero essere gli elementi di pericolo.
Ebbene, proprio in questi giorni l’EFSA (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha confermato i rischi per le api derivanti dall’impiego di tre pesticidi della classe dei neonicotinoidi. Si tratta della alternativa al DDT derivante dalla nicotina e spruzzata su foglie, messa nel suolo in forma granulare o usata nel trattamento dei semi. Tali pesticidi e, in particolare, i principi attivi del clothianidin, imidacloprid e thiamethoxam, possono in effetti nuocere alla salute delle api da miele e di quelle selvatiche e solitarie. Il parere dell’Autorità era stato chiesto al fine di permettere agli Stati e alla Commissione UE di esprimersi sul divieto di tali principi attivi dopo che, nel 2013, erano state imposte alcune restrizioni e dopo la proposta di permettere l’uso dei neonicotinoidi solo in serra. La questione verrà discussa a marzo con gli Stati membri nel comitato per gli alimenti, le piante e i mangimi. Con la speranza di poter trovare una soluzione che valorizzi la produzione e tuteli l'ecosistema. |
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April 2022
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