Il carattere distintivo del marchio anteriore deve essere valutato al fine di individuare se il marchio successivo sia idoneo a ingenerare confusione per il pubblico. In particolare, per quanto qui interessa, l’articolo 12, comma 1, codice proprietà industriale stabilisce che non possono costituire oggetto di registrazione tutti quei segni che siano identici o simili a un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio usato nell'attività economica, o altro segno distintivo adottato da altri. Carattere distintivo del marchio, la decisione della corte di cassazioneSul punto è intervenuta la decisione della Corte di Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n.2976, la quale ha precisato che occorre valutare se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra l'attività d'impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.
Eccezione a quanto appena detto è il caso in cui ad aver utilizzato precedentemente il segno sia stato il richiedente o il suo dante causa. In tal caso, infatti, non vi è alcun ostacolo alla registrazione qualora il registrante sia il solo preutente (o il suo avente causa). La sentenza della Corte di Cassazione n. 1111/20, depositata il 20 gennaio, ha posto nuovamente in evidenza il principio già stabilito nelle precedenti pronunce secondo cui: «In tema di invenzione di azienda, ai fini della liquidazione dell'equo premio ai sensi dell'art. 23, comma 2, r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, occorre tener conto dell'importanza, e non del prezzo, dell'invenzione; sicché opera correttamente il giudice del merito che, al detto fine, nel considerare le potenzialità di sfruttamento economico dell'invenzione, ricorre ad una valutazione equitativa in funzione correttiva, ad evitare il risultato di una quantificazione parametrata sul solo valore commerciale dell'invenzione» (Cass. 27.2.2001, n. 2849).
Nel 2010, il Tribunale di Udine, nell'accertare a qualità di autore (o coautore) del signor FF di svariate invenzioni poi brevettate, ne dichiarava il diritto ad un equo premio. La sentenza con cui il Tribunale condannava la società al pagamento dell'importo di Euro 1.277.170,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza al saldo, veniva poi appellata dinanzi alla Corte d'Appello di Trieste. Questa, nel 2014, riduceva il premio ad € 446.116,00 oltre interessi al tasso legale dalla data di messa in mora fino a quella di deposito della sentenza di primo grado, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi al tasso legale da tale data fino al saldo. Il signor FF, dunque, nel proporre ricorso in Cassazione si doleva, tra gli altri motivi, dell'erronea individuazione della data di decorrenza degli interessi legali dalla data della messa in mora anziché dalla data del rilascio di ciascun brevetto confondendo gli interessi moratori con quelli compensativi che avrebbe dovuto riconoscere la Corte territoriale. Sul punto, quindi, la Suprema Corte, ha ribadito il principio enunciato in apertura. |
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April 2022
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