Il Tribunale dell'Unione Europea ha evidenziato che il marchio della squadra di calcio AC Milan non può essere registrato come marchio europeo. Lo stesso, infatti, potrebbe indurre in confusione il consumatore data la precedente registrazione del marchio tedesco "MILAN" relativo ad articoli di cancelleria
Leggi la decisione L'art. 48 del r.d. n. 929 del 1942 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 45 del d.lgs. n. 480 del 1992), laddove prevede la cd. convalidazione del marchio successivo e confondibile se usato in buona fede per cinque anni senza contestazioni, trova applicazione non soltanto nell'ipotesi di conflitto tra un marchio anteriore di fatto ed uno successivo registrato, ma anche in quella di conflitto tra marchi registrati, restando irrilevante la circostanza che a partire dal 1981 e fino al 1992 sia cessato il sistema della pubblicazione dei brevetti nel Bollettino originariamente previsto dall'art. 97 del r.d. n. 1127 del 1939 (sempre nel testo anteriore alla novella introdotta dall'art. 85 del d.lgs. n. 480 del 1992), dovendosi conciliare il contenuto della norma vigente con la situazione di fatto all'epoca esistente.
Cassazione civile sez. I, 27/07/2021, n.21566 Fonte: Giustizia Civile Massimario 2021 Il Tribunale Roma sez. XVII, con decisione 23/12/2020, n.18545, ha stabilito che:
In merito alla ripartizione dell'onere probatorio, conformemente all'orientamento prevalente della Suprema Corte nella vigenza dell'abrogata disciplina di settore, l'attore che agisca per la declaratoria di decadenza di un marchio brevettato, e che ha l'onere di provare il non uso di quel marchio nell'intero territorio nazionale, può assolverlo anche in via indiretta e presuntiva, purchè con la prova di circostanze significative e concordanti idonee ad evidenziare tale non uso. Affinchè non ne risulti praticamente impossibile l'adempimento, tale onere probatorio deve essere inteso non già nel senso che debba fornirsi la concreta dimostrazione del fatto storico che nessun oggetto contraddistinto col marchio contestato sia stato prodotto o venduto in alcuna località del territorio nazionale, ma nel senso che, accertate particolari circostanze connesse alla vita del marchio, il mancato uso di questo possa essere desunto anche in via di presunzione, avuto pure riguardo alla possibilità che ha normalmente il suo titolare di contestare il valore presuntivo degli elementi dedotti dalla parte avversa (cfr. Cass. civ. n. 7970 del 28/03/2017). 8/3/2021 La 'royalty virtuale' e la liquidazione del danno da contraffazione di brevetto: Cassazione 02/03/2021, n.5666Read NowIn tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa leso può chiedere di essere ristorato del danno patito tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito. In tale ambito, il criterio della "royalty virtuale" segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere utilizzato a fronte dell'indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell'obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale.
Cassazione civile sez. I, 02/03/2021, n.5666 17/9/2020 MArchio debole e capacità distintiva: Tribunale Roma Sez. spec. Impresa, 15/07/2020Read Now Con ricorso cautelare la Facile.it S.p.A. ha promosso procedimento cautelare nei confronti della convenuta Facile Ristrutturare S.r.l. chiedendo al Giudice istruttore di inibire l'utilizzo, a qualunque titolo, dei segni a componente “facile”. Tramite la decisione del Tribunale di Roma è possibile analizzare nuovamente la capacità distintiva di un marchio debole. Il Tribunale, infatti, ha sancito che un marchio debole può ritenersi valido quando l'elemento descrittivo sia accompagnato da una differenziazione tramite prefissi o suffissi, ovvero da distorisioni o combinazioni di parole peculiari. Di conseguenza, nel caso in esame, il Giudice ha evidenziato il rischio di confusione sussistnte tra i segni "comprofacile.it" e "comprofacileit", registrati per le medesime classi merceologiche cui fa riferimento il marchio della società ricorrente.
L'art. 52 c.p.i. individua le rivendicazioni quali limiti della protezione. La descrizione e i disegni, utili ad interpretare le rivendicazioni, non possono integrare il significato di queste e neppure sono idonee ad estendere l'oggetto del brevetto.
Cosa accade, però, in caso di divergenza tra descrizione e quanto rivendicato? In tal caso, l'articolo 79 c.p.i. consente al titolare del brevetto di riformularlo, aggiungendo nuovi elementi. La riformulazione può anche essere sottoposta ad un giudice nel giudizio di nullità a patto, però, che la riformulazione rimanga entro i limiti del contenuto della domanda di brevetto quale inizialmente depositata e non estenda la protezione conferita dal brevetto concesso. Occorre quindi tenere in considerazione due limiti: la fonte delle informazioni, corrispondente alla domanda iniziale e l'oggetto del brevetto che si concretizza nell'ambito di protezione conferito dalle rivendicazioni originarie. Così interpretata, la norma garantisce che la riformulazione non porti ad una estensione della protezione originaria. La Corte di Cassazione, nell'individuare la competenza territoriale per violazione online del marchio, ha evidenziato che in materia di proprietà industriale le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell'attore possono essere proposte anche dinanzi all'Autorità giudiziaria dotata di sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi. Ora, nel caso di pubblicità via internet vi è un'evidente esigenza di delimitazione spaziale della condotta illecita. In tal caso, infatti, sussiste il rischio di creare una situazione di incertezza sul piano della individuazione del foro della contraffazione. Violazione online del marchio: la competenza nella giurisprudenza europea Nel fare riferimento alla giurisprudenza comunitaria sul punto, la Suprema Corte ha evidenziato che la Corte di giustizia ha rilevato che nel caso di lamentata violazione di un marchio nazionale registrato in uno Stato membro, la quale si attui proprio attraverso l'utilizzo di una parola chiave identica al detto marchio, quel che rileva è "l'avviamento, da parte dell'inserzionista, del processo tecnico finalizzato alla comparsa, in base a parametri predefiniti, dell'annuncio che detto inserzionista ha creato per la propria comunicazione commerciale (Corte giust. UE 19 aprile 2012, C-523/10). Ciò posto, dunque, la competenza giurisdizionale, con riguardo alla detta fattispecie dell'uso di key-word eguale a un marchio registrato, si radica nello Stato membro del luogo di stabilimento dell'inserzionista. Le conclusioni della Corte sulla competenza territoriale nella violazione online del marchio La Corte di Cassazione ha, quindi, concluso che, ai fini dell'applicazione dell'art. 120 c.p.i., il riferimento al luogo di stabilimento del contenuto trova giustificazione in ciò: se la competenza si radica nell'avvio della condotta di inserzione dei dati nel circuito telematico, questa si attua, presuntivamente, nel luogo in cui l'impresa ha il centro principale degli affati, onde è necessario far riferimento proprio a dove detta impresa ha la propria sede.
Cassazione civile sez. VI, 27/02/2020, n.5309 Quella tra nome di dominio e marchio è una questione giuridica di assoluto rilievo. Basti pensare al titolare di un marchio registrato che scopre che lo stesso è stato utilizzato da terzi per la creazione di un sito web. E' quello che è accaduto alla AME SpA, proprietaria della nota testata giornalistica "Grazia", il cui marchio era stato utilizzato per la creazione del sito grazia.net. nome di dominio e marchio: primo grado e appelloIn primo grado il Tribunale aveva ritenuto applicabile al caso di specie il principio di convalidazione di cui all'art. 28 del d.lgs. n. 30/2005 (Codice Proprietà Industriale). L'articolo menzionato così recita: «Il titolare di un marchio d'impresa anteriore ai sensi dell'articolo 12 e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante 5 anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all'uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso». Il Giudice, dunque, aveva ritenuto legittimo l'utilizzo del nome di dominio. Leggi anche: "Carattere distintivo del marchio e registrazione dei marchi anteriori La Corte d'Appello, invece, riformava la sentenza di primo grado dichiarando che il marchio grazia.net di proprietà di GS non si era mai convalidato e che anche l'utilizzo del nome a dominio era illegittimo. La decisione della suprema corteLa Corte di Cassazione, adita per violazione e falsa applicazione dell'articolo 28 c.p.i., ha evidenziato che "il domain name che riproduca o contenga il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l'attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio. Ne consegue che solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente utilizzarlo sul proprio sito o come nome di dominio" (Cassazione civile sez. I, 21/02/2020, n.4721).
Il carattere distintivo del marchio anteriore deve essere valutato al fine di individuare se il marchio successivo sia idoneo a ingenerare confusione per il pubblico. In particolare, per quanto qui interessa, l’articolo 12, comma 1, codice proprietà industriale stabilisce che non possono costituire oggetto di registrazione tutti quei segni che siano identici o simili a un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio usato nell'attività economica, o altro segno distintivo adottato da altri. Carattere distintivo del marchio, la decisione della corte di cassazioneSul punto è intervenuta la decisione della Corte di Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n.2976, la quale ha precisato che occorre valutare se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra l'attività d'impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.
Eccezione a quanto appena detto è il caso in cui ad aver utilizzato precedentemente il segno sia stato il richiedente o il suo dante causa. In tal caso, infatti, non vi è alcun ostacolo alla registrazione qualora il registrante sia il solo preutente (o il suo avente causa). La sentenza della Corte di Cassazione n. 1111/20, depositata il 20 gennaio, ha posto nuovamente in evidenza il principio già stabilito nelle precedenti pronunce secondo cui: «In tema di invenzione di azienda, ai fini della liquidazione dell'equo premio ai sensi dell'art. 23, comma 2, r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, occorre tener conto dell'importanza, e non del prezzo, dell'invenzione; sicché opera correttamente il giudice del merito che, al detto fine, nel considerare le potenzialità di sfruttamento economico dell'invenzione, ricorre ad una valutazione equitativa in funzione correttiva, ad evitare il risultato di una quantificazione parametrata sul solo valore commerciale dell'invenzione» (Cass. 27.2.2001, n. 2849).
Nel 2010, il Tribunale di Udine, nell'accertare a qualità di autore (o coautore) del signor FF di svariate invenzioni poi brevettate, ne dichiarava il diritto ad un equo premio. La sentenza con cui il Tribunale condannava la società al pagamento dell'importo di Euro 1.277.170,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza al saldo, veniva poi appellata dinanzi alla Corte d'Appello di Trieste. Questa, nel 2014, riduceva il premio ad € 446.116,00 oltre interessi al tasso legale dalla data di messa in mora fino a quella di deposito della sentenza di primo grado, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi al tasso legale da tale data fino al saldo. Il signor FF, dunque, nel proporre ricorso in Cassazione si doleva, tra gli altri motivi, dell'erronea individuazione della data di decorrenza degli interessi legali dalla data della messa in mora anziché dalla data del rilascio di ciascun brevetto confondendo gli interessi moratori con quelli compensativi che avrebbe dovuto riconoscere la Corte territoriale. Sul punto, quindi, la Suprema Corte, ha ribadito il principio enunciato in apertura. La giurisprudenza ha, nel corso del tempo, elaborato due categorie con riferimento alla capacità distintiva del marchio: i c.d. marchi forti e i c.d. marchi deboli.
I marchi forti sono quelli dotati di elevata capacità distintiva. In sostanza, essi si caratterizzano perché non sono concettualmente legati al prodotto. Sui secondi è intervenuta la Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, n.738, la quale ha precisato che: "i marchi "deboli" sono tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto per non essere andata la fantasia che li ha concepiti oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento dello stesso, ovvero per l'uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo (fattispecie relativa all'uso della parola 'Imperial' nel settore moda); peraltro, la loro "debolezza" non incide sull'attitudine alla registrazione, ma soltanto sull'intensità della tutela che ne deriva, atteso che sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte". Il Tribunale dell’Unione Europea ha ribadito quanto già espresso dall’EUIPO, respingendo la richiesta di iscrizione di un marchio evocante la marijuana. Tale segno distintivo, infatti, sarebbe contrario all’ordine pubblico.
L’Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale aveva ritenuto che «la rappresentazione stilizzata della foglia di cannabis costituisse il simbolo mediatico della marijuana». Il disegno, però, recava altri due elementi rilevanti: 1) recava la parola “Amsterdam”; 2) riportava la parola “store”. Il riferimento alla città olandese, ove è nota la presenza di punti vendita della sostanza stupefacente in commento, nonché quello allo “store”, potrebbero condizionare il consumatore inducendolo ad «aspettarsi che i prodotti e i servizi commercializzati con tale segno corrispondano a quelli offerti da un negozio di sostanze stupefacenti». Il Tribunale, su queste basi, ha deciso che «nel caso di specie, è per la combinazione di tali diversi elementi che il segno in questione attira l’attenzione dei consumatori, che non sono necessariamente in possesso di conoscenze scientifiche o tecniche precise sulla cannabis quale sostanza stupefacente, illegale in numerosi Paesi dell’Unione» evidenziando altresì che «allo stato attuale del diritto il suo consumo e il suo utilizzo oltre una certa soglia rimangono illegali nella maggior parte degli Stati membri. In questi ultimi, quindi, la lotta alla diffusione della sostanza stupefacente derivata dalla cannabis risponde ad un obiettivo di sanità pubblica, volto a combatterne gli effetti nocivi». 3/6/2019 Riproduzione inserita in un marchio complesso: non c'è contraffazione se il consumatore non confonde i prodottiRead NowCon la sentenza n. 10205 dell’11 aprile 2019, la Corte di Cassazione si è espressa nella causa promossa da Green Power Spa contro Enel Green Power Spa e Enel Spa. Il casoIl procedimento nasce nel 2009, anno in cui la Green Power Spa conveniva avanti al Tribunale di Roma la Enel Green Power Spa, chiedendo di accertare e dichiarare la contraffazione dei diritti di esclusiva, di modificare la denominazione sociale con condanna al risarcimento dei danni. la decisioneLa Corte ha così deciso:
L'usurpazione o la contraffazione di un marchio preusato o registrato può sussistere anche se la riproduzione sia inserita in un marchio complesso. In tal caso ai fini dell'accertamento dell'esistenza della contraffazione non può essere attribuita a ciascun elemento del marchio complesso uguale funzione individualizzante e differenziatrice, ma è necessario stabilire a quali dei molteplici elementi del marchio complesso può essere diretta di preferenza l'attenzione dei consumatori. 18/4/2019 Dal mancato pagamento della tassa di rinnovo brevetti deriva decadenza anche se è stato incaricato un professionista - Cassazione, ordinanza 7496/2019Read NowLa Cassazione civile sez. I, con ordinanza del 15/03/2019, (ud. 06/12/2018, dep. 15/03/2019), n.7496, ha chiarito che:
L'impedimento che legittima la reintegrazione nei confronti dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ha carattere oggettivo e impersonale essendo riferito innanzitutto, al titolare del brevetto e alla sua organizzazione e, allorché sia stato incaricato un mandatario dell'incombente, al mandatario, al suo comportamento ed organizzazione, ma sempre mediato dal necessario controllo del suo operato da parte del titolare del brevetto. |
Details
Archives
April 2022
|