Dalle criptovalute al food: come utilizzare questa preziosa innovazione Uno dei miei interessi principali, in questo periodo, è rappresentato dallo studio del fenomeno delle criptomonete. Come molti sapranno, si tratta di valute virtuali gestite, a seconda dei casi, da tecnologie comunque legate al metodo blockchain.
Non è questa, ovviamente, la sede in cui discutere delle valute ma, ragionando sul rapporto tra questa passione e il diritto alimentare ho pensato alle possibili applicazioni della tecnologia blockchain al settore food. In primo luogo, chiariamo: cos’è la tecnologia blockchain? Nel mondo delle criptomonete questa tecnologia viene utilizzata per archiviare e condividere informazioni. In sostanza, agendo in assenza di banche centrali, tali informazioni viaggiano su una rete decentralizzata di dati permettendo la registrazione di tutte le transazioni e, conseguentemente, la possibile consultazione delle stesse da parte di tutti gli utenti. Come potrebbe essere utilizzata nel settore alimentare? Chiunque abbia mai interagito con una filiera alimentare ne conosce il mantra: la tracciabilità. Non è più solo una questione di norme ma è diventata una questione di comunicazione e qualità. Ebbene, è qui che, con tutta probabilità, potrebbe entrare in gioco la tecnologia blockchain. A ben pensarci, infatti, il passaggio di materie prime, ingredienti, lavorati e semilavorati da un’azienda all’altra potrebbe essere equiparata alle transazioni effettuate in criptovalute. Un sistema di archiviazione e comunicazione decentralizzato, dunque, in grado di riportare, in ogni momento, tutte le informazioni necessarie sull’alimento analizzato. Pensiamo al consumatore che, tramite un codice (QR code come nel caso delle cripto), riesca a risalire all’origine di anche uno solo degli ingredienti presenti nel prodotto che sta acquistando o consumando o il luogo di nascita dell’animale oppure gli antibiotici e i vaccini utilizzati. E’ utile? Potrebbe esserlo. Due, infatti, sono i possibili risvolti pratici: prevenzione delle frodi e sicurezza alimentare. Da un lato, infatti, con dati precisi la blockchain sarebbe in grado di fornire immediatamente informazioni precise e pressoché impossibili da modificare prevenendo, così, ogni tentativo di frode. Dall’altro lato, invece, la stessa tecnologia garantirebbe una elevatissima reattività in caso di problemi legati alla sicurezza alimentare dei prodotti. Tramite la blockchain, infatti, potrebbe essere semplicissimo sapere dove è stato coltivato il pomodoro utilizzato per un barattolo di salsa, chi l’ha ispezionato, chi l’ha imbustata, come l’ha fatto e da chi è stata trasportata e commercializzata. Un esempio: la catena Walmart – che ha introdotto la blockchain – ha effettuato due test cercando di rintracciare la fattoria d’origine dei manghi venduti. In caso di problemi di food safety, infatti, è essenziale risalire correttamente all’origine del prodotto per bloccarne la vendita e selezionare e ritirare i prodotti già commercializzati. Ebbene, senza la tecnologia blockchain sono stati necessari sei giorni per effettuare la ricerca. Con la tecnologia 2 secondi. Il tempo risparmiato potrebbe salvare vite umane. Un utilizzo auspicabile su larga scala, dunque, che potrebbe essere finalizzato alla tutela del consumatore ma anche alla garanzia di qualità per gli imprenditori del settore alimentare. |
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April 2022
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