12/6/2019 TABELLE DI MILANO: IL RAPPORTO DI CONVIVENZA EQUIVALE A QUELLO MATRIMONIALE - CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA N. 14746/19Read NowLa Corte di Cassazione, nell'interpretare le tabelle di Milano, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ha statuito l’equiparazione tra convivenza more uxorio e convivenza coniugale fondata sul matrimonio (Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 14746/19, depositata il 29 maggio). Le tabelle di milanoLa Corte in particolare, ha evidenziato che le tabelle di Milano costituiscono parametro per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona. Una loro applicazione erronea configura, dunque, una violazione di legge censurabile in sede di legittimità. Per quanto in questa sede rilevante, inoltre, la Corte ha stabilito, per il risarcimento a favore della convivente del defunto, un importo «pari a circa la metà della misura minima prevista dalla corrispondente forbice tabellare, giustificando tale determinazione in ragione del ritenuto normale consolidamento dei rapporti di affetto e di condivisione, nell’ambito delle convivenza di fatto, “in tempi molto più ampi che nei legami affettivi tra i componenti di una coppia unita in matrimonio”». le motivazioni In base a quanto deciso dalla Corte capitolina, la motivazione a contrario risulterebbe giustificata in modo esclusivo su una specifica discriminazione ontologica tra le convivenze di fatto e i rapporti coniugali fondati sul matrimonio e sarebbe lesiva degli stessi criteri adottati nelle c.d. "tabelle di Milano" utilizzate a fondamento della liquidazione operata, attesa l’espressa completa equiparazione (contenuta in dette tabelle) tra convivenze more uxorio e convivenze coniugali fondate sul matrimonio.
In conclusione, in tema di danno non patrimoniale, qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle "tabelle" predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti da dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l’id quod plerumque accidit, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate. 3/6/2019 Riproduzione inserita in un marchio complesso: non c'è contraffazione se il consumatore non confonde i prodottiRead NowCon la sentenza n. 10205 dell’11 aprile 2019, la Corte di Cassazione si è espressa nella causa promossa da Green Power Spa contro Enel Green Power Spa e Enel Spa. Il casoIl procedimento nasce nel 2009, anno in cui la Green Power Spa conveniva avanti al Tribunale di Roma la Enel Green Power Spa, chiedendo di accertare e dichiarare la contraffazione dei diritti di esclusiva, di modificare la denominazione sociale con condanna al risarcimento dei danni. la decisioneLa Corte ha così deciso:
L'usurpazione o la contraffazione di un marchio preusato o registrato può sussistere anche se la riproduzione sia inserita in un marchio complesso. In tal caso ai fini dell'accertamento dell'esistenza della contraffazione non può essere attribuita a ciascun elemento del marchio complesso uguale funzione individualizzante e differenziatrice, ma è necessario stabilire a quali dei molteplici elementi del marchio complesso può essere diretta di preferenza l'attenzione dei consumatori. Mentre tutta Italia discute della sentenza delle Sezioni Unite Penali del 30 maggio 2019, n. 15, con la quale la Corte ha evidenziato che <<integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante>>, c’è un’altra sentenza che deve far riflettere. Il fattoSi tratta della sentenza n. 23787/19 della sez. III Penale della Corte di Cassazione con la quale si è affermata l’incapacità della condotta consistente nella coltivazione di una sola pianta di marijuana a ledere la salute pubblica. Nel caso analizzato, il Tribunale aveva condannato l’imputata per aver coltivato sul balcone della propria abitazione alcune piante di marijuana. A seguito della conferma della condanna in secondo grado, l’imputata ha proposto ricorso in cassazione. La decisione della corteLa Corte, partendo dal presupposto che all’imputata sono contestate la coltivazione e la detenzione a fini di spaccio della droga, ha ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di stupefacenti, la mera coltivazione di una pianta non è sufficiente ad integrare la condotta tipica del reato menzionato. A tal fine, infatti, è necessario verificare se tale attività sia idonea a ledere la salute pubblica e a favorire la circolazione di droga sul mercato. Nel caso in esame, conclude la corte, la coltivazione l’attività di coltivazione è risultata abbastanza circoscritta. Quanto invece alla contestazione relativa all’illecita detenzione, dalle risultanze probatorie si evince che effettivamente la sostanza era finalizzata ad uso per scopo terapeutico.
La Corte di Cassazione ha dunque annullato con rinvio alla Corte d’Appello la sentenza impugnata. 13/5/2019 I bonifici non giustificati provenienti dall'estero? Sono indizio di ricavi in nero - Corte di Cassazione, sez. VI Civile - T, ordinanza n. 11810/19Read NowLa Corte di cassazione con l'ordinanza n 11810 del 6 maggio 2019 ha stabilito che i bonifici provenienti dall’estero sul conto corrente bancario del contribuente possono essere considerati ricavi in nere. Spetta, dunque, al contribuente giustificare quanto ricevuto.
Nel caso oggetto di decisione, il contribuente ha ricevuto bonifici provenienti dall'estero recanti la causale «investimenti». A seguito di contestazione da parte del Fisco, i giudici tributari di primo grado hanno evidenziato che spettava proprio a questi l’onere di dimostrare i ricavi in nero. La Corte di Cassazione, invece, ha evidenziato che «qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'amministrazione è soddisfatto, secondo il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente». In tal caso, dunque, spetta al contribuente dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria sono privi di rilevanza. 24/4/2019 PTT: la notifica in proprio degli Avvocati via PEC è inammissibile - Cassazione civile, Sez. trib., ord. n. 8560/2019Read NowLa Corte di Cassazione civile, Sez. trib., con ordinanza 27 marzo 2019, n. 8560, ha evidenziato che nell'ambito del processo tributario non è applicabile la notificazione telematica disciplinata dalla Legge 53 del 1994, concernente le notificazioni in proprio degli Avvocati.
Ecco un estratto della decisione: "la L. n. 53 del 1994, art. 1, secondo periodo, nel testo da ultimo risultante a seguito della modifica apportata dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 46, comma 1, lett. a), n. 2), convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114, dispone che, quando ricorrono i requisiti di cui al periodo precedente della stessa norma, fatta eccezione per l'autorizzazione del Consiglio dell'Ordine, "la notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata". Si ricava, tuttavia, a contrario, dalla citata disposizione, avuto riguardo alla specialità delle disposizioni che regolano il processo tributario dinanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali, che detta forma di notifica, come di seguite disciplinata dalla citata L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, come inserito dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 quater, convertito, con modificazioni nella L. 7 dicembre 2012, n. 221, che ha abrogato la L. n. 53 del 1994, art. 3, comma 3 bis, non è ammessa per la notificazione degli atti in materia tributaria, se non espressamente disciplinata dalle specifiche relative disposizioni. La L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, u.c., quale introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 46, comma 2, convertito in L. 11 agosto 2014, n., 114, in vigore dal 26 giugno 2014, stabilisce che sono escluse dalla disciplina dettata dalla suddetta L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, commi 2 e 3, le notifiche relative al giudizio amministrativo, restando anche attraverso detta disposizione confermato che le norme tecniche per la notifica mediante posta elettronica certificata dettata per il processo civile non potessero trovare applicazione nel processo tributario, quale giudizio d'impugnazione sull'atto amministrativo tributario". Per quanto riguarda specificamente il processo tributario telematico, le relative disposizioni tecniche sono state adottate solo con D.M. 4 agosto 2015, per effetto del quale, in via spenmentale, il processo tributario telematico ha avuto attivazione in primis nelle regioni di Umbria e Toscana con decorrenza dal primo dicembre 2015, mentre, in virtù della successiva normativa regolamentare, per la Regione Campania il processo tributario telematico ha avuto attivazione dal 15 febbraio 2017. Ne consegue che nel 2011, anno in cui è stato proposto l'appello, la notifica a mezzo PEC dell'atto di appello da parte del difensore del contribuente deve essere intesa quale totalmente priva di effetto, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata". 23/4/2019 Assegno divorzile in caso di assenza reddito e difficoltà a vivere dignitosamente - Corte di Cassazione, ordinanza n. 10084/19Read NowLa Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 10084/19 ha confermato l’obbligo, sorgente in capo all'ex marito, di versare l'assegno divorzile. La decisione è stata presa sulla base dell'assenza di reddito e della difficoltà a procurarsi mezzi sufficienti per vivere dignitosamente. I criteri presi in considerazione sono stati: l’età, la mancanza di competenze professionali e la collocazione in un contesto territoriale caratterizzato da una grave crisi del mercato del lavoro.
18/4/2019 Dal mancato pagamento della tassa di rinnovo brevetti deriva decadenza anche se è stato incaricato un professionista - Cassazione, ordinanza 7496/2019Read NowLa Cassazione civile sez. I, con ordinanza del 15/03/2019, (ud. 06/12/2018, dep. 15/03/2019), n.7496, ha chiarito che:
L'impedimento che legittima la reintegrazione nei confronti dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ha carattere oggettivo e impersonale essendo riferito innanzitutto, al titolare del brevetto e alla sua organizzazione e, allorché sia stato incaricato un mandatario dell'incombente, al mandatario, al suo comportamento ed organizzazione, ma sempre mediato dal necessario controllo del suo operato da parte del titolare del brevetto. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9715/19, ha chiarito che l'abbreviazione "c.p." deve essere intesa come l'acronimo di "ciascuna parte". La condanna riportante tale locuzione, dunque, deve intendersi riferita a "ciascuna parte", e, dunque, in tal caso, deve ritenersi disposta non un'unica liquidazione da ripartire tra le parti ma una liquidazione riferita a ciascuna di esse, singolarmente considerata.
Con la stessa decisione, peraltro, la Corte ha evidenziato che: la procedura di correzione di errore materiale è esperibile per rimediare all'omessa liquidazione delle spese processuali nel dispositivo della sentenza, qualora l'omissione non evidenzi un contrasto tra motivazione e dispositivo, ma solo una dimenticanza dell'estensore. Sempre con maggior frequenza sentiamo parlare di blockchain. Ecco cosa significa, quali sono le garanzie che offre e qual è il legame tra questa tecnologia e gli smart contracts. Cos’è la blockchain La blockchain è una struttura dati condivisa e immutabile. Si tratta, in sostanza, di un registro in formato digitale alla cui base vi sono primitive crittografiche. Ciò che viene memorizzato sulla blockchain, una volta scritto, non può più essere modificato o eliminato. Tale sistema è nato nel settore finanziario ma, nel corso del tempo, evolvendo, è stato applicato ad altri ambiti. La blockchain, infatti, resa famosa dalle criptovalute, potrebbe ben rispondere alle crescenti esigenze di garanzia e richieste di tutela dei consumatori garantendo transazioni verificate e immuni da violazioni. Da tali caratteristiche sono attratti anche i grandi della produzione e della GDO globale tra cui Driscoll, Kroger, McCormick e Company, Tyson Foods e IBM. L’utilità della tecnologia nel settore alimentare La tecnologia in commento, se applicata al settore alimentare, ben potrebbe divenire uno strumento utile ad informare il consumatore circa la provenienza dell’alimento e ad agevolare le indagini sui cibi contaminati rendendo particolarmente veloci e sicure le informazioni lungo la filiera. Gli smart contracts![]() Dal punto di vista giuridico, uno degli elementi di maggior rilievo riconducibili alla blockchain è costituito dagli smart contracts. Già nel 1994 Nick Szabo definiva uno smart contract come: “un protocollo di transazione computerizzato che esegue i termini di un contratto. Gli obiettivi generali sono: soddisfare le condizioni contrattuali comuni, ridurre al minimo le contestazioni sia dolose che accidentali, e ridurre al minimo la necessità di intermediari di fiducia. Obiettivi economici correlati includono la riduzione dei danni da frode, degli arbitrati, dei costi giudiziali e degli altri costi di transazione”. Si tratta, in sostanza, della trasposizione in codice di un contratto. Il sistema, in sostanza, si occupa di svolgere le dovute verifiche inerenti nel momento in cui si avverano le condizioni definite nel contratto. Anche tale tecnologia, però, non è esente da problemi. Ad esempio, come agirà il sistema in caso di mancata corrispondenza tra ciò che si intende e ciò che, invece, viene riportato? Occorrerà, dunque, semplificare i tecnicismi e curare con attenzione i meccanismi di traduzione dei contenuti del contratto. I vantaggi in ambito forense I vantaggi, in ambito forense, potrebbero essere diversi. Si pensi, in particolare, alla semplificazione della gestione dei procedimenti giudiziari derivante dalla facilità di acquisizione della data certa dell’esecuzione contrattuale, della successione temporale delle esecuzioni dei contratti della certezza di esecuzione della clausola da parte dei contraenti tramite validazione del blocco.
La legge 2 dicembre 2016 n. 242 stabilisce la liceità della coltivazione della Cannabis sativa L (la c.d. “Cannabis light”) per finalità espresse e tassative tra le quali non è prevista la commercializzazione dei prodotti di tale coltivazione costituiti dalle infiorescenze (marijuana) e dalla resina (hashish); pertanto, le condotte di detenzione e di cessione di tali derivati continuano ad essere sottoposte alla disciplina prevista dal d.P.R. n. 309/90, sempre che dette sostanze presentino un effetto drogante rilevabile (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 17 dicembre 2018, n. 56737). Il fatto: sequestro di cannabis lightIl Tribunale del riesame, nel confermare il decreto del P.M. di convalida del sequestro probatorio, in relazione al reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, aggravato ai sensi dell’art. 80 del d.P.R. n. 309 del 1990, con riferimento alle sostanze stupefacenti (marijuana e hashish) rinvenute dalla polizia giudiziaria nei locali di un’impresa. Avverso tale ordinanza, la società proponeva ricorso per cassazione, sostenendo l’esclusione del caso di specie dell’ambito di applicazione del d.P.R. menzionato, in quanto le sostanze derivavano dalla coltivazione della c.d. “Cannabis Sativa” o “Cannabis light”, consentita ai sensi della L. 242/2016. L’impresa, in sostanza, deduceva l’assenza del fumus del reato ipotizzato. La decisione della Corte: legittimo il sequestro della cannabis lightLa Corte ha rigettato il ricorso per i motivi che si elencano di seguito.
L'AGCM ha accertato che Apple e Samsung hanno violato gli artt. 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo.
L'attività istruttoria, infatti, ha accertato che alcuni aggiornamenti del firmware dei cellulari rilasciati dalle società hanno accelerato il processo di sostituzione degli stessi provocando gravi disfunzioni e riducendo in modo significativo le prestazioni. Leggi il comunicato Si segnala che è in Gazzetta Ufficiale il decreto di adeguamento al GDPR
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2018/09/04/205/sg/pdf Al momento dell’acquisto di un prodotto è buona abitudine leggere e verificare l’etichetta in ogni suo dettaglio. Chi è maggiormente interessato ai contenuti relativi alle caratteristiche nutrizionali di un alimento, tuttavia, porrà certamente maggiore attenzione alla dichiarazione nutrizionale.
Per poter comprenderne il contenuto è opportuno fare riferimento al regolamento 1169/2011 che ha, appunto, introdotto l’obbligo di inserimento della dichiarazione nutrizionale tra le informazioni obbligatorie in etichetta. Questa viene riportata in una tabella contenente una dichiarazione relativa al valore energetico e al contenuto in proteine, grassi, carboidrati, fibre alimentari, sodio, vitamine e sali minerali contenuti in un alimento. Cosa deve contenere la dichiarazione nutrizionale? All’interno della dichiarazione nutrizionale troviamo svariate informazioni il cui lessico e ordine viene puntualmente disciplinato dal regolamento. In particolare, devono esserci indicazioni circa: – energia (kJ, kcal), – grassi, – di cui acidi grassi saturi, – carboidrati, – di cui zuccheri, – fibre (su base volontaria), – proteine, – sale (inteso come sodio, di qualsiasi fonte, per 2,5). La presenza di questi elementi va indicata sulla base di 100g o 100ml di prodotto. Quali prodotti devono recare la dichiarazione nutrizionale? L’obbligo è applicabile ai prodotti alimentari destinati alla vendita al consumatore finale, alle collettività (bar, esercizi di ristorazione, ecc.) e preimballati. Sono esplicitamente esclusi:
Indicazioni facoltative Fino a questo momento abbiamo analizzato le indicazioni obbligatorie rientranti nella c.d. tabella nutrizionale. Ulteriori indicazioni nutrizionali, sulla salute o quelle relative alla riduzione di un rischio di malattia, tuttavia, possono essere aggiunte su base volontaria. Le indicazioni nutrizionali, in particolare, indicano l’esistenza di particolari proprietà nutrizionali benefiche, quelle sulla salute indicano la relazione tra una categoria di alimenti, un alimento o uno dei suoi componenti e la salute e, infine, le indicazioni relative alla riduzione di u rischio di malattia indicano la connessione tra il consumo di una categoria di alimenti, di un alimento o di uno dei suoi componenti e la significativa riduzione di un fattore di rischio di insorgenza di una malattia. Perché queste indicazioni possano essere riportate in etichetta è necessario:
Due elementi da analizzare Riassumendo, quindi, nel momento in cui leggiamo un’etichetta è opportuno fare attenzione a due aspetti: la dichiarazione nutrizionale, riportata nella tabella, e le ulteriori indicazioni. Per informazioni sui claims (per esempio: “senza grassi”) ecco un mio post per Cucina Mancina http://www.cucinamancina.com/posts.php?id=867&titolo=attenzione-all-etichetta There are different requirements for importing food in EU so it is necessary to distinguish between food of non-animal origin, food of animal origin and composite products.
But before this, it is important to define what “food” is, according to the EU food law. The article 2 of Regulation n. 178/2002 defines it as “any substance or product, whether processed, partially processed or unprocessed, intended to be, or reasonably expected to be ingested by humans. ‘Food’ includes drink, chewing gum and any substance, including water, intentionally incorporated into the food during its manufacture, preparation or treatment”. The article 2 provides a list of what this definition shall not include: (a) feed; (b) live animals unless they are prepared for placing on the market for human consumption; (c) plants prior to harvesting; (d) medicinal products; (e) cosmetics; (f) tobacco and tobacco products; (g) narcotic or psychotropic substances; (h) residues and contaminants. General requirements Certain rules, including food hygiene requirements and food laws are laid down in Regulations n. 852/2004 and 178/2002. Article 11 of Reg. 178/2002 – Compliance or equivalence “Food and feed imported into the Community for placing on the market within the Community shall comply with the relevant requirements of food law or conditions recognised by the Community to be at least equivalent thereto or, where a specific agreement exists between the Community and the exporting country, with requirements contained therein”. This means that food imported into the EU shall comply with:
“If a food business operator considers or has reason to believe that a food which it has imported, produced, processed, manufactured or distributed is not in compliance with the food safety requirements, it shall immediately initiate procedures to withdraw the food in question from the market where the food has left the immediate control of that initial food business operator and inform the competent authorities thereof”. General food requirements The articles 3 to 6 of Regulation n. 852/2004 provide general food hygiene requirements. In particular, it contains:
When importing this kind of food the importer has to ensure compliance with the requirements of EU food law or with conditions recognised equivalent. In particular the importer has to consider that:
The Regulation n. 136/2004 and the Directive 97/78/EU provide the procedures for veterinary checks at Community border inspection posts on products imported from third countries. For example:
Tra le indicazioni obbligatorie di cui all'art. 9 del reg. 1169/2011 figura l'indicazione della quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti. Il regolamento 1169/2011 prescrive, all’art. 9, l’elenco delle indicazioni obbligatorie da inserire in etichetta.
Tra queste, la lettera d) contempla la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti. Tale indicazione, che corrisponde alla quantità dell’ingrediente o degli ingredienti al momento della loro utilizzazione, deve essere espressa in percentuale e deve figurare nella denominazione dell’alimento o immediatamente accanto ad essa, o nella lista degli ingredienti in rapporto con l’ingrediente o la categoria di ingredienti in questione. L’indicazione della quantità di ingredienti o categorie di ingredienti è richiesta quando questi: 1.figurano nella denominazione dell’alimento o, generalmente, sono associati a questa; 2.sono evidenziati nell’etichetta tramite parole, immagini o rappresentazioni grafiche; Entrambe le disposizioni appena citate non trovano applicazione nel caso di ingredienti o di categorie di ingredienti recanti l’indicazione «con edulcorante(i)» o «con zucchero(i) ed edulcorante(i)» quando la denominazione dell’alimento è accompagnata da tale indicazione, nonché nel caso di vitamine o di sali minerali aggiunti, quando tali sostanze devono essere oggetto di una dichiarazione nutrizionale. 3.sono essenziali per caratterizzare quel determinato alimento e distinguerlo dai prodotti con cui potrebbe essere confuso. Tale indicazione non è richiesta nel caso in cui la quantità dell’ingrediente o della categoria di ingredienti: 1.figuri nell’etichetta ai sensi delle disposizioni UE; 2.sia adoperato in piccole dosi come aromatizzante; 3.pur figurando nella denominazione dell’alimento non sia in grado di condizionare la scelta del consumatore; 4.sia determinato in modo preciso da specifiche disposizioni dell’Unione; 5.nei casi di prodotti ortofrutticoli o funghi utilizzati in proporzioni suscettibili di variare o in una miscela come ingredienti di un alimento, quando nessuno predomina in termini di peso sull’altro in modo significativo; 6.per le miscele di spezie o piante aromatiche, nessuna delle quali predomina in peso in modo significativo. Le etichette costituiscono, senza dubbio, il modo principale che le aziende hanno per comunicare con i consumatori. Un veicolo fondamentale di informazioni che, nel corso del tempo, è stato anche soggetto e norme sempre più stringenti. Nel mondo del vino, in particolare, una corretta etichettatura non può che passare dall’indicazione dei c.d. solfiti.
Cosa sono i solfiti? Con il termine “solfiti” si intende l’anidride solforosa aggiunta al vino. Questa, sotto forma di metabisolfito di potassio ha, infatti, un ruolo indispensabile: disinfetta e stabilizza il vino, inibendo l’azione dei microorganismi che potrebbero deteriorare il prodotto e agendo su alcuni enzimi che, sotto l’azione dell’ossigeno, generano un deterioramento delle caratteristiche organolettiche e, quindi, del sapore del vino. In alcuni casi alcuni ceppi di lieviti naturalmente presenti nel mosto possono produrre anidride solforosa durante la fermentazione alcolica ma, solitamente, questa viene aggiunta durante il processo di vinificazione. Cosa dicono le norme? In merito, il riferimento principale, come sempre avviene in materia di etichettatura, è il Reg. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Questo, all’art. 9(1) prevede l’obbligo di indicare in etichetta “…c) qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata”. L’allegato II, in particolare, nell’elenco degli ingredienti o coadiuvanti tecnologici da indicare obbligatoriamente in etichetta, inserisce proprio l’anidride solforosa e i solfiti se in concentrazione superiore a 10 mg/kg o 10 mg/litro. Lo stesso, inoltre, precisa che in mancanza di un elenco degli ingredienti tale indicazione deve essere riportata con il termine “contiene” seguito dalla denominazione della sostanza o del prodotto. Cosa significa, quindi, “sena solfiti aggiunti”? Tale indicazione può essere riportata sulle etichette di vino ma solo nel caso in cui il vino contenga solo solfiti formatisi naturalmente in seguito alla fermentazione e, comunque, in concentrazioni non superiori a 10 mg/kg o 10 mg/litro a patto, ovviamente, di non trarre in errore il consumatore. L’etichettatura d’origine è stata, ed è ancora, al centro di un dibattito acceso. Parliamo, in particolare, dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine del riso e del grano duro per le paste di semola di grano duro, le cui norme sono state accolte con enorme favore da gran parte dei consumatori (circa l’80% degli italiani secondo indagini condotte dal MIPAAF) e, invece, con più di qualche perplessità da molti dei produttori, specie i più grandi.
Leggi l'articolo sul blog Retroattivamente.it Presto il divieto di commercializzazione di prodotti di plastica monouso L’UE vieterà presto i prodotti di plastica monouso come cotton fioc, stoviglie e cannucce.
Le norme rientrerebbero nell'ambito della strategia UE per ridurre i rifiuti plastici. Gli elementi rilevanti della direttiva I prodotti di plastica monouso, infatti, rappresentano il 70% dei rifiuti marini e inquinano spiagge e mari di tutta Europa. Il progetto di direttiva prevede l’obbligo per gli stati di raccogliere, entro il 2025, il 90% delle bottiglie di plastica monouso per bevande e vietare la vendita di cotton fioc, stoviglie, cannucce, agitatori per bevande e bastoncini in plastica per palloncini gonfiati con elio. Questi gli elementi rilevanti del progetto di direttiva:
Le nuove regole, quindi, introdurranno:
Le sanzioni introdotte dal D.Lgs. 231/2017 per le violazioni del Reg. 1169/2011 Lo scorso 9 maggio è entrato in vigore il D.Lgs. 231/2017 che sanziona violazioni e irregolarità relative al Regolamento UE 1169/2011.
In questo post si analizzeranno, in particolare, le norme relative agli allergeni. Cosa sono gli allergeni? Si definiscono allergeni quegli ingredienti o sostanze che, se ingeriti, possono determinare allergie e/o intolleranze nei consumatori. Il regolamento 1169/2011, quindi, si preoccupa di indicare tassativamente questi alimenti. In particolare, vengono menzionati:
Dove trovare le indicazioni In un’attività di somministrazione di cibo e bevande, dunque, deve essere possibile trovare l’indicazione di tali alimenti direttamente sul menù ovvero su un foglio illustrativo apposito. L’ulteriore alternativa è quella di avere all’interno dello staff un addetto specializzato sugli allergeni. Tuttavia è opportuno evidenziare che l’obbligo di indicare la presenza degli allergeni non sussiste nei casi in cui la denominazione dell’alimento faccia chiaro riferimento alla sostanza o al prodotto in questione. Le sanzioni Il D.Lgs. 231/2017 prevede multe da € 3.000 a € 24.000 per agriturismi, ristoranti, bar, mense e, in generale, per ogni esercizio di somministrazione di alimenti e bevande che omette di indicare per iscritto, in modo chiaro e immediato, la lista di allergeni presenti negli alimenti somministrati e/o venduti. Lo stesso decreto, tuttavia, prevede la possilità di ridurre la sanzione pecuniaria fino ad un terzo per le microimprese. In data 27 aprile 2016 è stato emanato il regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio riguardante la protezione delle persone fisiche e il trattamento dei dati personali nonché la libera circolazione di tali dati. Il regolamento, meglio noto come GDPR, si compone di 173 considerando e 99 articoli compresi in 88 pagine nella versione italiana. Con esso viene abrogata la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati).
Il regolamento sarà obbligatorio per tutte le imprese a partire dal 25 maggio 2018. I nostri Professionisti hanno redatto un vademecum in versione semplificata, epurata dagli elementi non necessari alle imprese ed arricchita però con specifici suggerimenti e con una guida pratica per l’attuazione delle norme, così consentendo al lettore una facile e rapida consultazione. Per ricevere l'indice e per informazioni scrivi a: ep@studiolegalepalumbieri.it Definizioni, caratteristiche e autorizzazione ex Reg. 1829/2003 nell'articolo di Elio Palumbieri per Studio Cataldi:
https://www.studiocataldi.it/articoli/30348-ogm-cosa-sono-e-come-sono-disciplinati.asp Alla fine è arrivata la bocciatura, da parte dell’Unione Europea, del D.lgs. 145/2017 con il quale è stato introdotto l’obbligo per i produttori alimentari di indicare lo stabilimento di produzione in etichetta.
La lettera della Commissione che sancisce tale bocciatura, datata 30 gennaio 2018 ma diffusa dal sito GIFT solo in questi giorni, non lascia spazio a dubbi: “La notifica è irricevibile e la Commissione non ne analizzerà quindi il contenuto”. Il regolamento 1169/2011 Tutto parte dal regolamento 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori il quale aveva abolito il decreto 109/1992 che aveva introdotto nel nostro mercato l’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione. Tuttavia, proprio con il D.lgs. 145/2017, tale obbligo era stato reintrodotto. In questi casi, però, i regolamento europei prevedono la necessità di notificare alla Commissione UE la nuova norma al fine di analizzarne il contenuto e la sua compatibilità con le disposizioni europee. Ebbene, il rigetto della notifica è avvenuto perché il nostro esecutivo ha usufruito di quanto disposto dall’art. 114 par. 4 del TFUE (il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), il quale prevede che “allorché, dopo l'adozione di una misura di armonizzazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, da parte del Consiglio o da parte della Commissione, uno Stato membro ritenga necessario mantenere disposizioni nazionali giustificate da esigenze importanti di cui all'articolo 36 o relative alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro, esso notifica tali disposizioni alla Commissione precisando i motivi del mantenimento delle stesse”. In sostanza, il nostro paese ha sostenuto che la norma del 2017 fosse identica a quella del 1992 che, sostanzialmente, quest’ultima sarebbe rimasta in vigore. Come detto, la Commissione ha lapidariamente rigettato l’argomentazione. Cosa succede adesso Il rischio, evidentissimo, è che si crei una disparità di trattamento tra i produttori. Questi, infatti, hanno predisposto e stanno stampando etichette conformi al D.lgs 145/2017 ignari, fino ad oggi, del rigetto della Commissione UE. Anche le autorità competenti si trovano nella situazione di dover far rispettare una norma che, invece, andrebbe disapplicata. Tutto ciò senza considerare che, in ogni caso, chi produce all’estero non è tenuto a rispettare la norma italiana anche se vende i propri alimenti nel nostro mercato. Occorre, quindi, rimanere in attesa di ulteriori sviluppi anche considerando l’ottimismo su una positiva chiusura della faccenda che trapela dal Ministero. Il consiglio Intanto, il consiglio alle aziende produttrici è quello di rispettare il D.lgs. 145/2017 e tenere sempre presente che l’indicazione dello stabilimento di origine potrebbe comunque comparire in etichetta quale elemento facoltativo e, in alcuni casi, recare anche un legittimo vantaggio competitivo. La riforma UE sul biologico pone non pochi problemi. E l’Italia vota contro Non è tutto biologico quello che luccica4/30/2018
0 Commenti La riforma UE sul biologico pone non pochi problemi. E l’Italia vota contro di Elio Palumbieri In apertura di questo post potrebbe essere utile un disclaimer: non esprimerò un opinione sul biologico. La mia idea è la seguente: il bio, giusto o sbagliato che sia, dev’essere per il consumatore una certezza e non mi pare che la riforma vada in questa direzione. Su questo sì, proverò a dire la mia. Procediamo, quindi, per gradi. Dopo quattro anni di negoziati il Parlamento europeo ha approvato il testo di riforma delle regole dell’agricoltura bio con 466 voti a favore, 124 contrari e 50 assenti. Ora il Consiglio UE dovrà formalmente approvare la riforma che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2021. I contenuti della riforma Il testo, che mira a garantire che solo i prodotti biologici di qualità siano importati nell’Unione europea, prevede una serie di modifiche all’attuale assetto normativo. In particolare:
Alle disposizioni appena menzionate, tuttavia, si contrappongono numerose deroghe. Le principali sono le seguenti:
Il nostro Paese è, da sempre, tra i maggiori sostenitori di una politica del biologico più severa. In particolare, infatti, del testo di riforma non è piaciuta la possibilità per paesi come l’Italia, di imporre regole più severe abbinata al divieto di impedire la commercializzazione nel proprio mercato di prodotti di altri Paesi europei che hanno deciso di non irrigidire regole e disposizioni. Insomma, i prodotti biologici prodotti in Italia potranno anche essere particolarmente salubri ma nei nostri supermercati troveremo prodotti provenienti da altri paesi la cui produzione è sottoposta a regole meno stringenti. il post per Studio Cataldi di Elio Palumbieri
|
Details
Archives
April 2022
|