STUDIO LEGALE PALUMBIERI
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24/11/2020

L'Avv. Elio Palumbieri lancia il podcast sul diritto agroalimentare

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Il podcast è disponibile su tutte le piattaforme di streaming a questo link

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17/9/2020

MArchio debole e capacità distintiva: Tribunale Roma Sez. spec. Impresa, 15/07/2020

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Con ricorso cautelare la Facile.it S.p.A. ha promosso procedimento cautelare nei confronti della convenuta Facile Ristrutturare S.r.l. chiedendo al Giudice istruttore di inibire l'utilizzo, a qualunque titolo, dei segni a componente “facile”. 
Tramite la decisione del Tribunale di Roma è possibile analizzare nuovamente la capacità distintiva di un marchio debole.
Il Tribunale, infatti, ha sancito che un marchio debole può ritenersi valido quando l'elemento descrittivo sia accompagnato da una differenziazione tramite prefissi o suffissi, ovvero da distorisioni o combinazioni di parole peculiari.
Di conseguenza, nel caso in esame, il Giudice ha evidenziato il rischio di confusione sussistnte tra i segni "comprofacile.it" e "comprofacileit", registrati per le medesime classi merceologiche cui fa riferimento il marchio della società ricorrente.

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22/6/2020

COVID-19 e riduzione del corrispettivo del contratto di precario utilizzo dell’immobile

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Il Tribunale di Bari e, in particolare, l’Ufficio Esecuzioni Immobiliari, ha autorizzato la riduzione del corrispettivo del contratto di precario utilizzo dell’immobile risolutivamente condizionato alla vendita in ragione della crisi da COVID-19.
Nel dettaglio, l’istanza presentata dal professionista era basata sulla normativa in materia di credito di imposta afferente al contratto di locazione, intervenuta con il d.l. n. 18/2020 e il d.l. n. 34/2020. L’ufficio, valutando l’inadempimento giustificato all’obbligazione contrattuale autorizzata dallo stesso e tenendo conto sia della specifica situazione commerciale dello stesso conduttore che del generale momento di crisi economica dovuti all’emergenza sanitaria da Covid-19, ha autorizzato la riduzione del corrispettivo del contratto di precario utilizzo dell’immobile risolutivamente condizionato alla vendita.

Il Tribunale, dunque, ha ritenuto opportuna la riduzione dell’indennizzo relativo al contratto di precario utilizzo dell’immobile in luogo della risoluzione dello stesso, tenuto conto anche della maggiore convenienza economica e gestoria.

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5/6/2020

la tutela del brevetto in caso di divergenza tra descrizione  e rivendicazione

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L'art. 52 c.p.i. individua le rivendicazioni quali limiti della protezione. La descrizione e i disegni, utili ad interpretare le rivendicazioni, non possono integrare il significato di queste e neppure sono idonee ad estendere l'oggetto del brevetto. 
Cosa accade, però, in caso di divergenza tra descrizione e quanto rivendicato?

In tal caso, l'articolo 79 c.p.i. consente al titolare del brevetto di riformularlo, aggiungendo nuovi elementi. La riformulazione può anche essere sottoposta ad un giudice nel giudizio di nullità a patto, però, che la riformulazione rimanga entro i limiti del contenuto della domanda di brevetto quale inizialmente depositata e non estenda la protezione conferita dal brevetto concesso.
Occorre quindi tenere in considerazione due limiti: la fonte delle informazioni, corrispondente alla domanda iniziale e l'oggetto del brevetto che si concretizza nell'ambito di protezione conferito dalle rivendicazioni originarie.

Così interpretata, la norma garantisce che la riformulazione non porti ad una estensione della protezione originaria.

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30/4/2020

La competenza territoriale per violazione online del marchio

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Immagine su violazione online del marchio
La Corte di Cassazione, nell'individuare la competenza territoriale per violazione online del marchio, ha evidenziato che in materia di proprietà industriale le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell'attore possono essere proposte anche dinanzi all'Autorità giudiziaria dotata di sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi. Ora, nel caso di pubblicità via internet vi è un'evidente esigenza di delimitazione spaziale della condotta illecita. In tal caso, infatti, sussiste il rischio di creare una situazione di incertezza sul piano della individuazione del foro della contraffazione.

Violazione online del marchio: la competenza nella giurisprudenza europea

Nel fare riferimento alla giurisprudenza comunitaria sul punto, la Suprema Corte ha evidenziato che la Corte di giustizia ha rilevato che nel caso di lamentata violazione di un marchio nazionale registrato in uno Stato membro, la quale si attui proprio attraverso l'utilizzo di una parola chiave identica al detto marchio, quel che rileva è "l'avviamento, da parte dell'inserzionista, del processo tecnico finalizzato alla comparsa, in base a parametri predefiniti, dell'annuncio che detto inserzionista ha creato per la propria comunicazione commerciale (Corte giust. UE 19 aprile 2012, C-523/10).
Ciò posto, dunque, 
la competenza giurisdizionale, con riguardo alla detta fattispecie dell'uso di key-word eguale a un marchio registrato, si radica nello Stato membro del luogo di stabilimento dell'inserzionista. ​

Le conclusioni della Corte sulla competenza territoriale nella violazione online del marchio

La Corte di Cassazione ha, quindi, concluso che, ai fini dell'applicazione dell'art. 120 c.p.i., il riferimento al luogo di stabilimento del contenuto trova giustificazione in ciò: se la competenza si radica nell'avvio della condotta di inserzione dei dati nel circuito telematico, questa si attua, presuntivamente, nel luogo in cui l'impresa ha il centro principale degli affati, onde è necessario far riferimento proprio a dove detta impresa ha la propria sede.

Cassazione civile sez. VI, 27/02/2020, n.5309

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9/3/2020

Nome di dominio e marchio (Cassazione Civile, n. 4721/2020)

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Quella tra nome di dominio e marchio è una questione giuridica di assoluto rilievo. Basti pensare al titolare di un marchio registrato che scopre che lo stesso è stato utilizzato da terzi per la creazione di un sito web. E' quello che è accaduto alla AME SpA, proprietaria della nota testata giornalistica "Grazia", il cui marchio era stato utilizzato per la creazione del sito grazia.net. 

nome di dominio e marchio: primo grado e appello

In primo grado il Tribunale aveva ritenuto applicabile al caso di specie il principio di convalidazione di cui all'art. 28 del d.lgs. n. 30/2005 (Codice Proprietà Industriale). L'articolo menzionato così recita: «Il titolare di un marchio d'impresa anteriore ai sensi dell'articolo 12 e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante 5 anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all'uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso». Il Giudice, dunque, aveva ritenuto legittimo l'utilizzo del nome di dominio.

Leggi anche: "Carattere distintivo del marchio e registrazione dei marchi anteriori

La Corte d'Appello, invece, riformava la sentenza di primo grado dichiarando che il marchio grazia.net di proprietà di GS non si era mai convalidato e che anche l'utilizzo del nome a dominio era illegittimo.

La decisione della suprema corte

La Corte di Cassazione, adita per violazione e falsa applicazione dell'articolo 28 c.p.i., ha evidenziato che "il domain name che riproduca o contenga il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l'attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio. Ne consegue che solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente utilizzarlo sul proprio sito o come nome di dominio" (​Cassazione civile sez. I, 21/02/2020, n.4721).

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18/2/2020

Carattere distintivo del marchio e registrazione dei marchi anteriori

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Il carattere distintivo del marchio anteriore deve essere valutato al fine di individuare se il marchio successivo sia idoneo a ingenerare confusione per il pubblico. In particolare, per quanto qui interessa, l’articolo 12, comma 1, codice proprietà industriale stabilisce che non possono costituire oggetto di registrazione tutti quei segni che siano identici o simili a un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio usato nell'attività economica, o altro segno distintivo adottato da altri.

Carattere distintivo del marchio, la decisione della corte di cassazione

Sul punto è intervenuta la decisione della Corte di Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n.2976, la quale ha precisato che occorre valutare se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra l'attività d'impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.
Eccezione a quanto appena detto è il caso in cui ad aver utilizzato precedentemente il segno sia stato il richiedente o il suo dante causa. In tal caso, infatti, non vi è alcun ostacolo alla registrazione qualora il registrante sia il solo preutente (o il suo avente causa).

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10/2/2020

La liquidazione del premio per l'invenzione del dipendente

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La sentenza della Corte di Cassazione n. 1111/20, depositata il 20 gennaio, ha posto nuovamente in evidenza il principio già stabilito nelle precedenti pronunce secondo cui: «In tema di invenzione di azienda, ai fini della liquidazione dell'equo premio ai sensi dell'art. 23, comma 2, r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, occorre tener conto dell'importanza, e non del prezzo, dell'invenzione; sicché opera correttamente il giudice del merito che, al detto fine, nel considerare le potenzialità di sfruttamento economico dell'invenzione, ricorre ad una valutazione equitativa in funzione correttiva, ad evitare il risultato di una quantificazione parametrata sul solo valore commerciale dell'invenzione» (Cass. 27.2.2001, n. 2849).

Nel 2010, il Tribunale di Udine, nell'accertare a qualità di autore (o coautore) del signor FF di svariate invenzioni poi brevettate, ne dichiarava il diritto ad un equo premio. La sentenza con cui il Tribunale condannava la società al pagamento dell'importo di Euro 1.277.170,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza al saldo, veniva poi appellata dinanzi alla Corte d'Appello di Trieste. Questa, nel 2014, riduceva il premio ad € 446.116,00 oltre interessi al tasso legale dalla data di messa in mora fino a quella di deposito della sentenza di primo grado, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi al tasso legale da tale data fino al saldo.

Il signor FF, dunque, nel proporre ricorso in Cassazione si doleva, tra gli altri motivi, dell'erronea individuazione della data di decorrenza degli interessi legali dalla data della messa in mora anziché dalla data del rilascio di ciascun brevetto confondendo gli interessi moratori con quelli compensativi che avrebbe dovuto riconoscere la Corte territoriale.

Sul punto, quindi, la Suprema Corte, ha ribadito il principio enunciato in apertura.

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30/1/2020

Marchi deboli e marchi forti

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La giurisprudenza ha, nel corso del tempo, elaborato due categorie con riferimento alla capacità distintiva del marchio: i c.d. marchi forti e i c.d. marchi deboli.

I marchi forti sono quelli dotati di elevata capacità distintiva. In sostanza, essi si caratterizzano perché non sono concettualmente legati al prodotto.

Sui secondi è intervenuta la Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, n.738, la quale ha precisato che:
"i marchi "deboli" son
o tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto per non essere andata la fantasia che li ha concepiti oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento dello stesso, ovvero per l'uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo (fattispecie relativa all'uso della parola 'Imperial' nel settore moda); peraltro, la loro "debolezza" non incide sull'attitudine alla registrazione, ma soltanto sull'intensità della tutela che ne deriva, atteso che sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte".

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16/12/2019

Il marchio evoca la marijuana? Non può essere registrato

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Il Tribunale dell’Unione Europea ha ribadito quanto già espresso dall’EUIPO, respingendo la richiesta di iscrizione di un marchio evocante la marijuana. Tale segno distintivo, infatti, sarebbe contrario all’ordine pubblico.
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L’Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale aveva ritenuto che «la rappresentazione stilizzata della foglia di cannabis costituisse il simbolo mediatico della marijuana». Il disegno, però, recava altri due elementi rilevanti:
1) recava la parola “Amsterdam”;
2) riportava la parola “store”.
Il riferimento alla città olandese, ove è nota la presenza di punti vendita della sostanza stupefacente in commento, nonché quello allo “store”, potrebbero condizionare il consumatore inducendolo ad «aspettarsi che i prodotti e i servizi commercializzati con tale segno corrispondano a quelli offerti da un negozio di sostanze stupefacenti».
Il Tribunale, su queste basi, ha deciso che «nel caso di specie, è per la combinazione di tali diversi elementi che il segno in questione attira l’attenzione dei consumatori, che non sono necessariamente in possesso di conoscenze scientifiche o tecniche precise sulla cannabis quale sostanza stupefacente, illegale in numerosi Paesi dell’Unione» evidenziando altresì che «allo stato attuale del diritto il suo consumo e il suo utilizzo oltre una certa soglia rimangono illegali nella maggior parte degli Stati membri. In questi ultimi, quindi, la lotta alla diffusione della sostanza stupefacente derivata dalla cannabis risponde ad un obiettivo di sanità pubblica, volto a combatterne gli effetti nocivi». 

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15/10/2019

Passeggia, guarda le vetrine e cade. No alla responsabilità del comune

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Il capitombolo subito da un uomo a seguito della disattenzione da lui mostrata non è risarcibile. Esclusa la responsabilità del Comune. (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 25436/19; depositata il 10 ottobre)
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La brutta caduta, causata dalla distrazione derivante da shopping e chiacchiere non è risarcibile. Nessuna ipotesi di risarcimento da parte del Comune.
L'episodio si è verificato in Abruzzo. Protagonista un uomo, finito rovinosamente a terra durante una passeggiata.

L'uomo ha sostenuto, in Tribunale, in Corte d'appello e, infine, in Cassazione, la responsabilità del Comune, colpevole di non aver provveduto a rendere sicura la strada da lui percorsa e caratterizzata da un tombino mal collocato.

I Giudici, però, hanno ritenuto che il capitombolo vada addebitato solo alla scarsa attenzione prestata dall’uomo durante la passeggiata.

<<l'incidente si era verificato per esclusiva responsabilità dell'attore, sottolineando in proposito: che la strada era illuminata; che il tombino in cui lo stesso attore era inciampato aveva solo un leggero avvallamento, non idoneo ad arrecare alcun nocumento e, comunque, era visibile; che l'incidente si era in sostanza verificato esclusivamente perché l'attore era distratto a guardare alcune vetrine ed a parlare con alcuni amici, per cui non aveva posto attenzione al marciapiede ed alla strada, mentre la attraversava al di fuori delle vicine strisce pedonali>>.

Ogni ipotetica responsabilità del Comune va quindi esclusa.

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30/8/2019

tutor in autostrada: la decisione della Cassazione

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Tutor in Autostrada: la vicenda

La Craft s.p.a. presentava dinanzi al Tribunale di Roma, nei confronti di Autostrade per l’Italia, richiesta di accertamento della nullità della domanda di brevetto da questa presentata e relativa al sistema di rilevamento della velocità dei veicoli. Alla base di tale richiesta vi era l'asserito difetto di novità e originalità.
Rigettata l'azione dal Tribunale di Roma, in secondo grado, la Corte d’Appello evidenziava la violazione, da parte di Autostrade per l'Italia, delle norme relative alla proprietà intellettuale della società Craft e ordinava la rimozione del sistema di rilevamento.

La decisione della Corte di Cassazione

I Giudici del Supremo Collegio, hanno accolto il ricorso di Autostrade per l’Italia, cassando la sentenza impugnata ed emanando il nuovo principio di diritto in base al quale «la contraffazione per equivalenti ricorre in presenza della soluzione di un problema tecnico attuata attraverso invenzioni che presentino elementi delle rivendicazioni muniti di equivalenza, non in presenza della sola identità del problema suscettibile di essere superato con soluzioni tra loro diverse».

Per la Corte di Cassazione sono dunque infondati i motivi per cui la Corte d’Appello aveva deciso che il sistema tutor violasse le norme relative alla proprietà intellettuale della società controricorrente e dovesse essere rimosso.  Il sistema di rilevamento si appresta, dunque, a tornare in funzione

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30/8/2019

NULLITA' DELLA PROCURA RILASCIATA ALL'ESTERO

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Se il processo civile si svolge in Italia deve essere regolato dalla legge italiana (art. 12 della L. 31 maggio 1995 n. 218) e la procura alle liti, ove rilasciata all'estero, deve avere i requisiti di forma e di sostanza previsti dall'ordinamento interno italiano (art. 83 c.p.c. e art. 2703 c.c.). L'art. 83 c.p.c. prevede che la procura generale alle liti debba avere la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata.  Di conseguenza, quanto alla scrittura privata autenticata, il pubblico ufficiale deve attestare che il documento è stato firmato in sua presenza dopo aver preventivamente accertato l'identità del sottoscrittore (CASS. SS.UU. 3410/2008). Nella fattispecie esaminata dalla Law Boutique Palumbieri e portata all'attenzione del Tribunale di Trani, la procura generale alle liti risultava rilasciata in un luogo imprecisato in data antecedente (sia pure di un solo giorno) rispetto a quella della autentica notarile, ciò inducendo il ragionevole dubbio sulla attività certificativa del Notaio, consistente nella dichiarazione che il documento era stato firmato in sua presenza. Il Tribunale ha statuito la nullità della procura concedendo alla parte interessata un termine perentorio (ai sensi dell'art.182 c.p.c.) per produrre una nuova e valida procura alle liti (CASS. CIV. 8174/2018).

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24/7/2019

SMS? Fanno prova in giudizio

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Con la sentenza n. 19155/2019 la prima sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un padre separato nei cui confronti era stato emesso un decreto ingiuntivo relativamente alle somme sostenute dalla ex coniuge per l’istruzione del figlio. 

il caso

Nel caso di specie gli sms erano stati utilizzati dalla madre del bimbo per provare  l'adesione del padre all'iscrizione del minore all'asilo nido nonché l’intenzione di sostenere la metà della retta dovuta.
Il padre, dunque, ricorrendo in Cassazione, ha sostenuto la carenza efficacia probatori degli sms, in quanto non idonei a provare sottoscrizione e numero di cellulare del soggetto che li aveva inviati e del soggetto che li aveva ricevuti.

La decisione della corte

La Corte ha, dunque, stabilito che:
In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c., il "disconoscimento" che fa perdere ad esse la qualità di prova, pur non soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 c.p.c, deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, ma non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, comma 2, c.p.c., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (fattispecie relativa alla valenza probatoria di alcuni sms).

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16/7/2019

Big data: le linee guida dei tre Garanti italiani

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Il Garante per la protezione dei dati personali ha annunciato, con comunicato stampa del 2 luglio, la sua alleanza con l’AGCM e l’AGCOM. Scopo è disciplinare il fenomeno dei big data garantendo una politica efficace a livello pubblico.

Big data: definizione

Con il termine big data si indica quella raccolta di dati così ampia da richiedere tecnologie e metodi di analisi specifici per estrapolare, gestire e processare le informazioni.
Nel 2000, Doug Laney, analista di settore, ha formulato la definizione delle tre V dei big data:
  • Volume (quantità dei dati);
  • Velocità (di scambio dei dati);
  • Varietà (di formato dei dati).

La cooperazione tra Autorità

La necessità di cooperare con le altre autorità deriva dall’importanza che i dati hanno assunto per l’ottimizzazione di processi e decisioni, per l’innovazione e il corretto funzionamento dei mercati.
A breve, il Garante Privacy renderà disponibile un documento elaborato a seguito delle audizioni svolti dalle tre Autorità. 

Le richieste al Governo e al Parlamento

Tra le principali novità, si chiede al Governo e al Parlamento:
  • di indagare circa la necessità di promuovere un idoneo quadro normativo che affronti la questione della effettiva trasparenza nell’uso delle informazioni personali;
  • rafforzare la cooperazione internazionale sul disegno della policy per il governo dei big data;
  • promuovere una policy unica e trasparente, riducendo le varie asimmetrie informative tra utenti e operatori digitali;
  • perseguire lo scopo di tutela del benessere del consumatore;
  • rafforzare i poteri di acquisizione delle informazioni da parte delle Autorità ed infine istituire un “coordinamento permanente” tra i tre Garanti.

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26/6/2019

Marchio Adidas? Per il Tribunale UE è nullo

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​Il Tribunale dell'Ue si è espresso sulla validità del marchio Adidas, azienda di abbigliamento sportivo conosciuta in tutto il mondo, consistente in tre strisce parallele poste alla stessa distanza, di uguale larghezza e applicate in qualsiasi direzione.

La storia del marchio Adida

Le tre bande di Adidas, pensate nel 1920, sono tornate a rappresentare l’azienda nel 1996, dopo una pausa che dal 1972 aveva visto l’adozione del “trifoglio”, simboleggiante lo spirito olimpico.

La registrazione del marchio Adida

L’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo) nel 2014 aveva registrato il marchio dell’Adidas. I prodotti per i quali è stata richiesta e ottenuta la registrazione rientrano nella classe 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza e corrispondono alla descrizione: «Abbigliamento; scarpe; cappelleria».
Nel 2016, tuttavia, a seguito di ricorso presentato il 16 dicembre 2014 dall’impresa belga Shoe Branding Europe, la registrazione era stata annullata in quanto il marchio era privo di qualsiasi carattere distintivo

La decisione del Tribunale UE

Al fine di tutelare il proprio marchio, Adidas avrebbe dovuto, dunque, dimostrare il carattere distintivo assunto dalle tre bande dinanzi al Tribunale UE.
Sul punto, la società con sede a Herzogenaurach, in Baviera, non è riuscita a fornire una tesi convincente e, di conseguenza, il marchio è stato dichiarato nullo.
Ecco la sentenza del Tribunale

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14/6/2019

Ergastolo, la decisione della Corte di Strasburgo

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La legge che regola il carcere a vita viola il diritto del condannato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e, quindi, dev’essere rivista perché contrario all’art 3 della Convenzione europea per i diritti umani. A stabilirlo è stata la Corte Europea dei Diritti Umani.

La Corte europea per i diritti umani

La CEDU è stata istituita nel 1959 ed è un organo giurisdizionale internazionale. Si badi che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo non fa parte dell'Unione europea. 

L’ergastolo in Italia

Per ergastolo ostativo, nel nostro ordinamento, s’intende la pena che prevede la reclusione a vita, il c.d. “fine pena mai”. Questo si differenzia rispetto al normale ergastolo perché, se nel secondo caso il condannato ha diritto ad alcuni benefici, nel primo non è previsto alcun tipo di beneficio o di premio.

La decisione sull’ergastolo

In particolare, la Corte ha osservato che colui che viene condannato al carcere a vita (ergastolo ostativo) non ha diritto ad ottenere alcun beneficio. Egli, infatti, non può usufruire della riduzione della pena o di permessi d’uscita. L’unico modo che un condannato all’ergastolo ha di poter usufruire di determinati benefici è collaborare con la giustizia. Ciò, secondo la CEDU, porta ad un’equiparazione della mancanza di collaborazione a una presunzione irrefutabile di pericolosità per la società.
La Corte ha evidenziato che la scelta di collaborare non è sempre “libera” e che, quindi, «non si può presumere che ogni collaborazione con la giustizia implichi un vero pentimento e sia accompagnata dalla decisione di tagliare ogni legame con le associazioni per delinquere>>.
Nella sentenza, inoltre, si afferma che privare un condannato di qualsiasi possibilità di riabilitazione viola la dignità umana, principio base su cui si fonda la convenzione europea dei diritti umani,

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12/6/2019

TABELLE DI MILANO: IL RAPPORTO DI CONVIVENZA EQUIVALE A QUELLO MATRIMONIALE - ​CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA N. 14746/19

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La Corte di Cassazione, nell'interpretare le tabelle di Milano, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ha statuito l’equiparazione tra convivenza more uxorio e convivenza coniugale fondata sul matrimonio (Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 14746/19, depositata il 29 maggio).

Le tabelle di milano

La Corte in particolare, ha evidenziato che le tabelle di Milano costituiscono parametro per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona. Una loro applicazione erronea configura, dunque, una violazione di legge censurabile in sede di legittimità. 
 
Per quanto in questa sede rilevante, inoltre, la Corte ha stabilito, per il risarcimento a favore della convivente del defunto, un importo «pari a circa la metà della misura minima prevista dalla corrispondente forbice tabellare, giustificando tale determinazione in ragione del ritenuto normale consolidamento dei rapporti di affetto e di condivisione, nell’ambito delle convivenza di fatto, “in tempi molto più ampi che nei legami affettivi tra i componenti di una coppia unita in matrimonio”». 

le motivazioni

In base a quanto deciso dalla Corte capitolina, la motivazione a contrario risulterebbe giustificata in modo esclusivo su una specifica discriminazione ontologica tra le convivenze di fatto e i rapporti coniugali fondati sul matrimonio e sarebbe lesiva degli stessi criteri adottati nelle c.d. "tabelle di Milano" utilizzate a fondamento della liquidazione operata, attesa l’espressa completa equiparazione (contenuta in dette tabelle) tra convivenze more uxorio e convivenze coniugali fondate sul matrimonio.

In conclusione, in tema di danno non patrimoniale, qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle "tabelle" predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti da dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l’id quod plerumque accidit, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate.

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3/6/2019

Riproduzione inserita in un marchio complesso: non c'è contraffazione se il consumatore non confonde i prodotti

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Con la sentenza n. 10205 dell’11 aprile 2019, la Corte di Cassazione si è espressa nella causa promossa da Green Power Spa contro Enel Green Power Spa e Enel Spa. 

​Il caso

Il procedimento nasce nel 2009, anno in cui la Green Power Spa conveniva avanti al Tribunale di Roma la Enel Green Power Spa, chiedendo di accertare e dichiarare la contraffazione dei diritti di esclusiva, di modificare la denominazione sociale con condanna al risarcimento dei danni. 

la decisione

La Corte ha così deciso:

L'usurpazione o la contraffazione di un marchio preusato o registrato può sussistere anche se la riproduzione sia inserita in un marchio complesso. In tal caso ai fini dell'accertamento dell'esistenza della contraffazione non può essere attribuita a ciascun elemento del marchio complesso uguale funzione individualizzante e differenziatrice, ma è necessario stabilire a quali dei molteplici elementi del marchio complesso può essere diretta di preferenza l'attenzione dei consumatori. ​

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31/5/2019

Una pianta di marijuana in casa? Non è reato

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Mentre tutta Italia discute della sentenza delle Sezioni Unite Penali del 30 maggio 2019, n. 15, con la quale la Corte ha evidenziato che <<integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante>>, c’è un’altra sentenza che deve far riflettere.

Il fatto

Si tratta della sentenza n. 23787/19 della sez. III Penale della Corte di Cassazione con la quale si è affermata l’incapacità della condotta consistente nella coltivazione di una sola pianta di marijuana a ledere la salute pubblica.
Nel caso analizzato, il Tribunale aveva condannato l’imputata per aver coltivato sul balcone della propria abitazione alcune piante di marijuana. A seguito della conferma della condanna in secondo grado, l’imputata ha proposto ricorso in cassazione.

La decisione della corte

La Corte, partendo dal presupposto che all’imputata sono contestate la coltivazione e la detenzione a fini di spaccio della droga, ha ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di stupefacenti, la mera coltivazione di una pianta non è sufficiente ad integrare la condotta tipica del reato menzionato. A tal fine, infatti, è necessario verificare se tale attività sia idonea a ledere la salute pubblica e a favorire la circolazione di droga sul mercato. Nel caso in esame, conclude la corte, la coltivazione l’attività di coltivazione è risultata abbastanza circoscritta. Quanto invece alla contestazione relativa all’illecita detenzione, dalle risultanze probatorie si evince che effettivamente la sostanza era finalizzata ad uso per scopo terapeutico.
La Corte di Cassazione ha dunque annullato con rinvio alla Corte d’Appello la sentenza impugnata.

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13/5/2019

I bonifici non giustificati provenienti dall'estero? Sono indizio di ricavi in nero - Corte di Cassazione, sez. VI Civile - T, ordinanza n. 11810/19

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La Corte di cassazione con l'ordinanza n 11810 del 6 maggio 2019 ha stabilito che i bonifici provenienti dall’estero sul conto corrente bancario del contribuente possono essere considerati ricavi in nere. Spetta, dunque, al contribuente giustificare quanto ricevuto.
 
Nel caso oggetto di decisione, il contribuente ha ricevuto bonifici provenienti dall'estero recanti la causale «investimenti». A seguito di contestazione da parte del Fisco, i giudici tributari di primo grado hanno evidenziato che spettava proprio a questi l’onere di dimostrare i ricavi in nero.
La Corte di Cassazione, invece, ha evidenziato che «qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'amministrazione è soddisfatto, secondo il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente».
In tal caso, dunque, spetta al contribuente dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria sono privi di rilevanza.

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24/4/2019

PTT: la notifica in proprio degli Avvocati via PEC è inammissibile - Cassazione civile, Sez. trib., ord. n. 8560/2019

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La Corte di Cassazione civile, Sez. trib., con ordinanza 27 marzo 2019, n. 8560, ha evidenziato che nell'ambito del processo tributario non è applicabile la notificazione telematica disciplinata dalla Legge 53 del 1994, concernente le notificazioni in proprio degli Avvocati.

Ecco un estratto della decisione:
 

"la L. n. 53 del 1994, art. 1, secondo periodo, nel testo da ultimo risultante a seguito della modifica apportata dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 46, comma 1, lett. a), n. 2), convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114, dispone che, quando ricorrono i requisiti di cui al periodo precedente della stessa norma, fatta eccezione per l'autorizzazione del Consiglio dell'Ordine, "la notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata". Si ricava, tuttavia, a contrario, dalla citata disposizione, avuto riguardo alla specialità delle disposizioni che regolano il processo tributario dinanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali, che detta forma di notifica, come di seguite disciplinata dalla citata L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, come inserito dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 quater, convertito, con modificazioni nella L. 7 dicembre 2012, n. 221, che ha abrogato la L. n. 53 del 1994, art. 3, comma 3 bis, non è ammessa per la notificazione degli atti in materia tributaria, se non espressamente disciplinata dalle specifiche relative disposizioni. La L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, u.c., quale introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 46, comma 2, convertito in L. 11 agosto 2014, n., 114, in vigore dal 26 giugno 2014, stabilisce che sono escluse dalla disciplina dettata dalla suddetta L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, commi 2 e 3, le notifiche relative al giudizio amministrativo, restando anche attraverso detta disposizione confermato che le norme tecniche per la notifica mediante posta elettronica certificata dettata per il processo civile non potessero trovare applicazione nel processo tributario, quale giudizio d'impugnazione sull'atto amministrativo tributario". Per quanto riguarda specificamente il processo tributario telematico, le relative disposizioni tecniche sono state adottate solo con D.M. 4 agosto 2015, per effetto del quale, in via spenmentale, il processo tributario telematico ha avuto attivazione in primis nelle regioni di Umbria e Toscana con decorrenza dal primo dicembre 2015, mentre, in virtù della successiva normativa regolamentare, per la Regione Campania il processo tributario telematico ha avuto attivazione dal 15 febbraio 2017. Ne consegue che nel 2011, anno in cui è stato proposto l'appello, la notifica a mezzo PEC dell'atto di appello da parte del difensore del contribuente deve essere intesa quale totalmente priva di effetto, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata".

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23/4/2019

Assegno divorzile in caso di assenza reddito e difficoltà a vivere dignitosamente - Corte di Cassazione, ordinanza n. 10084/19

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La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 10084/19 ha confermato l’obbligo, sorgente in capo all'ex marito, di versare l'assegno divorzile. La decisione è stata presa sulla base dell'assenza di reddito e della difficoltà a procurarsi mezzi sufficienti per vivere dignitosamente. I criteri presi in considerazione sono stati: l’età, la mancanza di competenze professionali e la collocazione in un contesto territoriale caratterizzato da una grave crisi del mercato del lavoro.  ​

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18/4/2019

Dal mancato pagamento della tassa di rinnovo brevetti deriva decadenza anche se è stato incaricato un professionista - Cassazione, ordinanza 7496/2019

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La Cassazione civile sez. I, con ordinanza del 15/03/2019, (ud. 06/12/2018, dep. 15/03/2019), n.7496, ha chiarito che:
L'impedimento che legittima la reintegrazione nei confronti dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ha carattere oggettivo e impersonale essendo riferito innanzitutto, al titolare del brevetto e alla sua organizzazione e, allorché sia stato incaricato un mandatario dell'incombente, al mandatario, al suo comportamento ed organizzazione, ma sempre mediato dal necessario controllo del suo operato da parte del titolare del brevetto.

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10/4/2019

Cassazione, chiarito il significato di "c.p." - ordinanza n. 9715/19

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Sentenza
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9715/19, ha chiarito che l'abbreviazione "c.p." deve essere intesa come l'acronimo di "ciascuna parte". La condanna riportante tale locuzione, dunque, deve intendersi riferita a "ciascuna parte", e, dunque, in tal caso, deve ritenersi disposta non un'unica liquidazione da ripartire tra le parti ma una liquidazione riferita a ciascuna di esse, singolarmente considerata.

Con la stessa decisione, peraltro, la Corte ha evidenziato che:
la procedura di correzione di errore materiale è esperibile per rimediare all'omessa liquidazione delle spese processuali nel dispositivo della sentenza, qualora l'omissione non evidenzi un contrasto tra motivazione e dispositivo, ma solo una dimenticanza dell'estensore.


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