di Elio Palumbieri e Massimo Zortea
L’innovazione alimentare e, in particolare, il tema degli alimenti geneticamente modificati, a partire dagli OGM (Organismi Geneticamente Modificati) è un ambito particolarmente complesso: incluse un ampio ventaglio di concetti e definizioni, suscita questioni scientifiche ed altresì etiche rilevanti, investe problematiche commerciali legate alle sementi, alla tutela del “made in” e ai costi di R&D, inaccessibili alla maggior parte dei produttori e molto altro ancora. È peraltro di recente intervenuto un ulteriore capitolo della saga normativa in materia, ovvero la direttiva dell’Unione Europea 2015/412/UE, che ha modificato la vecchia direttiva 2001/18/CE, in particolare introducendo alcune norme relative al meccanismo di autorizzazione a regime e alle misure transitorie. Anche lo stato del recepimento delle misure a regime e di quelle transitorie è in continua ebollizione e richiede un monitoraggio costante. Il professionista rimane perplesso e spesso disorientato, anche in considerazione di una vasta rassegna giurisprudenziale che affianca la già intricata normativa. Tentiamo quindi di proporre una radiografia ragionata del contesto normativo, per avere un quadro d’assieme quanto più organico possibile, di analizzare le norme attraverso le quali è permesso l’ingresso nel mercato europeo degli OGM. Alimenti geneticamente modificati: i regolamenti UE 1829/2003 e 1830/2003. L’analisi della normativa europea inerente agli alimenti geneticamente modificati non può non partire dal regolamento 1829/2003. Ribadite, nei considerando, le preoccupazioni circa la salute dei cittadini e la tutela della vita e della salute umana, il regolamento specifica che “gli alimenti e i mangimi che contengono organismi geneticamente modificati o sono costituiti o prodotti a partire da tali organismi, dovrebbero essere sottoposti a una valutazione della sicurezza tramite una procedura comunitaria prima di essere immessi sul mercato comunitario”. La definizione di OGM L’art. 2 del regolamento rinvia all’art. 2 punto 2 della direttiva 2001/18/CE per recuperare la definizione di OGM; in particolare, la direttiva stabilisce che per organismo geneticamente modificato debba intendersi “un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o con la ricombinazione genetica naturale” ad esclusione degli organismi ottenuti tramite le tecniche della mutagenesi e della fusione cellulare (inclusa la fusione di protoplasti) di cellule vegetali di organismi che possono scambiare materiale genetico anche con metodi di riproduzione tradizionali. A partire da questa definizione, si stabilisce che gli OGM non devono essere nocivi per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente, non devono trarre in inganno i consumatori e non devono differire dagli alimenti che intendono sostituire in misura tale che il loro consumo normale sarebbe svantaggioso per i consumatori sul piano nutrizionale (art. 4 par 1). L’autorizzazione all’immissione sul mercato europeo Chi intende immettere in commercio un OGM destinato all’alimentazione umana o un alimento che contiene o è costituito da OGM deve ottenere apposita autorizzazione, dopo aver dimostrato il rispetto dei requisiti appena citati. La domanda di autorizzazione deve essere presentata all’autorità nazionale competente di ciascuno Stato membro. L’autorità deve informare l’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare) fornendole anche tutte le informazioni supplementari fornite dal richiedente. L’EFSA informa gli altri Stati membri e la Commissione mettendo anche a disposizione del pubblico un dossier sintetico. L’EFSA deve, inoltre, esprimere il suo parere entro 6 mesi (prorogabili nel caso siano necessarie ulteriori informazioni). La Commissione, entro 3 mesi dal ricevimento del parere dell’Autorità, sottopone al Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali un progetto di decisioni da prendere in merito alla domanda. C’è da sottolineare, però, che l’autorizzazione – una volta concessa – deve poi essere rinnovata a cadenza decennale e i titolari della stessa sono tenuti non solo a conformarvisi in toto non commercializzando prodotti che non rientrano nell’autorizzazione e monitorando continuativamente il prodotto immesso sul mercato, ma anche ad informare immediatamente la Commissione di qualsiasi nuova informazione scientifica o tecnica che potrebbe variare la valutazione sulla sicurezza dell’alimento in questione. Per questi motivi l’art. 10 prevede la possibilità di modificare, sospendere e revocare le autorizzazioni: sulla questione, sollevata dal richiedente, da uno Stato membro o dalla Commissione, si pronuncia l’EFSA. A norma dell’art. 34, inoltre, quando i prodotti autorizzati possono comportare un rischio per la salute umana, degli animali o su parere dell’EFSA (come appena visto) l’autorizzazione può essere sospesa o modificata urgentemente tramite le procedure d’urgenza previste dagli artt. 53 e 54 del reg 178/2002. Secondo l’art. 53 la Commissione può sospendere l’immissione sul mercato (per prodotti di origine comunitaria) o le importazioni (per prodotti importati da un paese terzo), imporre condizioni all’utilizzo o adottare ogni altra misura provvisoria adeguata. L’art. 54 prevede, invece, che, qualora uno Stato membro informi la Commissione circa i rischi derivanti dall’utilizzo dell’alimento e questa non agisca a norma del precedente art. 53, lo Stato possa adottare autonomamente le misure cautelari provvisorie. Particolarmente rilevante sotto questi profili è la direttiva 2015/412/UE che ammette la libertà di coltivazione degli OGM da parte degli Stati membri. Nel dettaglio, la direttiva ha modificato la direttiva 2001/18/CE, emendando l’art. 26-bis e introducendo gli articoli 26-ter e 26-quater. L’art. 26-ter prevede che, nel corso della procedura di autorizzazione o di rinnovo della stessa, gli Stati membri possano chiedere all’impresa richiedente di adeguare l’ambito geografico dell’evento transgenico evitando, così, in tutto o in parte il proprio territorio nazionale. Nel caso di rifiuto totale o parziale della richiedente, lo Stato membro può comunque vietarne la coltivazione ricorrendo a motivi legati a: a) politica ambientale; b) pianificazione urbana e territoriale; c) uso del suolo; d) impatto socio-economico; e) esigenza di evitare la presenza di OGM in altri prodotti; f) obiettivi di politica agricola; g) ordine pubblico. L’art. 26-quater ha, invece, previsto delle misure transitorie da seguire nelle more dell’attuazione della direttiva; nel dettaglio l’art. in questione prevede che gli stati membri possano richiedere l’adeguamento dell’ambito geografico di una richiesta di autorizzazione o di un’autorizzazione già concessa ai sensi della direttiva 2001/18/CE. Nel nostro ordinamento il recepimento della direttiva 2015/412/UE è stato avviato con due provvedimenti differenti: legge 114/2015 e legge 115/2015. Con la prima il Governo ha ricevuto delega per adottare il decreto di attuazione della direttiva mentre con la seconda (c.d. Legge Europea 2014) è stata data attuazione nel nostro ordinamento all’art. 26-quater della direttiva e, dunque, alle misure transitorie dallo stesso previste. Infatti, il MiPAAF, di concerto con il MATTM e il Ministero della Salute, previo parere positivo della Conferenza Stato-Regioni, ha già trasmesso alla Commissione europea le relative richieste di adeguamento dello spazio geografico. Infine, il Consiglio dei Ministri del 28 luglio 2016 ha approvato in via preliminare il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2015/412/UE, sulla base della citata legge-delega 114/2015. L’etichettatura degli OGM Un ultimo argomento particolarmente rilevante è l’etichettatura degli OGM. Bisogna fare riferimento agli artt. 12 e 13 del reg. 1829/2003. Tali norme non si applicano agli “alimenti che contengono materiale che contiene, è costituito o prodotto a partire da OGM presenti in proporzione non superiore allo 0,9% degli ingredienti alimentari considerarti individualmente o degli alimenti costituiti da un unico ingrediente, purché tale presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile” (art. 12). In etichetta deve essere indicato l’ingrediente geneticamente modificato e deve esserci riferimento circa le differenze con l’alimento tradizionale dal punto di vista della composizione, dei valori o effetti nutrizionali, dell’uso previsto e delle implicazioni per la salute di certi segmenti della popolazione; infine occorre indicare se un alimento può dare luogo a preoccupazioni di ordine etico o religioso (art. 13). La tracciabilità degli OGM Il regolamento 1830/2003 prevede, infine, norme sulla tracciabilità dei prodotti OGM. È previsto che nella prima fase dell’immissione in commercio gli operatori debbano assicurare la trasmissione per iscritto all’operatore che riceve il prodotto delle seguenti informazioni: a) indicazione che il prodotto contiene OGM o è da essi costituito; b) indicazione degli identificatori unici assegnati agli OGM. Tali informazioni devono essere trasmesse per iscritto anche nelle fasi successive. L’identificatore unico è un codice numerico o alfanumerico che denomina e distingue in maniera precisa ciascuna singola specie di OGM. È questo in sintesi il quadro concettuale e normativo della materia: il nucleo di nozioni che nessun professionista del settore alimentare può ignorare. A partire da questa sintesi ristretta, sarà poi utile ed opportuno sviluppare un approfondimento lungo più direttrici, che riserviamo necessariamente ad ulteriori articoli. |
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April 2022
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