di Elio Palumbieri e Massimo Zortea
La biodiversità o “diversità biologica” viene definita dalla Convenzione internazionale sulla Diversità Biologica come: “la variabilità degli organismi viventi di qualsiasi fonte, inclusi, tra l'altro, gli ecosistemi terrestri, marini e gli altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici dei quali fanno parte; essa comprende la diversità all'interno di ogni specie, tra le specie e degli ecosistemi”. La biodiversità, a partire dalla ratifica della convenzione del 1992, ma per molti versi anche in epoche precedenti, è divenuta oggetto di tutele crescenti nell’Unione Europea ed anche in Italia. Già nel 1993, infatti, il Consiglio UE, con la decisione 93/626/CEE provvedeva a ratificare la Convenzione sulla biodiversità. Ma è solo in anni più recenti che l’attenzione del legislatore, prima regionale e poi nazionale (con singolare inversione logica), si è focalizzata su quella che viene chiamata la biodiversità agraria, per distinguerla da quella cosiddetta selvatica. La conservazione della diversità agrobiologica e, anche se in maniera più limitata e incompleta, il suo uso sostenibile nonché il giusto ed equo riparto dei benefici derivanti da tale uso costituiscono il substrato che caratterizza la recente novella introdotta con la l. 194/2015 (Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare). La legge in questione, pur se caratterizzata da evidenti limiti e imperfezioni, rappresenta un importante pietra miliare verso la creazione di un sistema nazionale coordinato per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare. Il sistema istituzionale delineato dalla legge si impernia su quattro pilastri: - l’Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare; - la Rete nazionale della biodiversità; - il Portale nazionale; - il Comitato permanente per la biodiversità. Nell’Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare saranno censite tutte le risorse genetiche di interesse alimentare e agrario locali di origine vegetale, animale e microbica soggette a rischio di estinzione o di erosione genetica. Il processo di iscrizione all’anagrafe prevede un’istruttoria finalizzata all’accertamento di requisiti quali la corretta caratterizzazione e individuazione della risorsa, la sua adeguata conservazione, l’indicazione corretta del luogo di conservazione e l’eventuale possibilità di generare materiale di moltiplicazione (art. 3). La Rete nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare, per contro, svolgerà attività volte a preservare le risorse generiche di interesse alimentare ed agrario locali e sarà composta dalle strutture locali per la conservazione del germoplasma (il materiale ereditario che permette di preservare a livello genetico la biodiversità) ex situ e dagli agricoltori e dagli allevatori custodi (art. 4). Il Portale nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare è istituito per tre ordini di obiettivi fra loro collegati: costruire un sistema di banche dati delle risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario locali; consentire la diffusione delle informazioni; consentire il monitoraggio dello stato di conservazione della biodiversità (art. 5). Infine, il Comitato permanente per la biodiversità di interesse agricolo e alimentare è istituito al fine di garantire il coordinamento delle azioni a livello statale, regionale e delle provincie autonome in materia (art. 8). Sempre al fine di portare a sistema la complessa situazione legislativa regionale e le prassi sviluppatesi negli ultimi decenni, anche per iniziativa di componenti sempre più vaste della società civile e del mondo delle imprese, la legge delinea anche alcuni rilevanti concetti, di cui stabilisce la definizione formale. In particolare, l’art. 2 contiene la definizione di “risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario”, “risorse locali” e “agricoltori custodi”. Per “risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario” si intende il materiale genetico di origine vegetale, animale e microbica, avente un valore effettivo o potenziale per l’alimentazione e per l’agricoltura. Con il termine “risorse locali” si identificano le risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario: a) che sono originarie di uno specifico territorio; b) che, pur essendo di origine alloctona, ma non invasive sono state introdotte da lungo tempo nell’attuale territorio di riferimento, naturalizzate e integrate tradizionalmente nella sua agricoltura e nel suo allevamento; c) che, pur essendo originarie di uno specifico territorio, sono attualmente scomparse e conservate in orti botanici, allevamenti ovvero centri di conservazione o di ricerca in altre regioni o Paesi. Come si vede, le definizioni sono piuttosto generiche e dovranno essere messe a fuoco in sede regolamentare o giurisprudenziale. Gli “agricoltori custodi” sono, invece, gli agricoltori che si impegnano nella conservazione, nell’ambito dell’azienda agricola ovvero in situ, delle risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario soggette a rischio di estinzione o di erosione genetica. Specularmente viene, inoltre, definita la categoria degli “allevatori custodi”, ovvero di coloro che impiegano analogo sforzo a favore delle risorse genetiche animali. La legge contiene poi alcune altre rilevanti disposizioni, la cui portata effettiva si potrà valutare solo nel tempo. Innanzitutto, l’art. 9 esclude dal novero delle invenzioni suscettibili di brevetto tutte le varietà vegetali iscritte nell’Anagrafe nazionale e tutte le varietà da cui derivano produzioni d.o.p. o i.g.t. o, ancora, specialità tradizionali garantite da cui derivano i prodotti agroalimentari tradizionali. L’art. 10 poi istituisce un fondo di € 500.000 annui per la tutela della biodiversità di interesse agricolo e alimentare al fine di sostenere le azioni degli agricoltori e degli allevatori. La sua concreta attivazione è però demandata, come usualmente in simili casi, ad un decreto ministeriale ad oggi non emanato. L’art 11, invece, stabilisce che il diritto alla vendita diretta e in ambito locale di sementi o materiali di propagazione relativi alle varietà di sementi iscritte nel registro nazionale è riconosciuto agli agricoltori che le producono. Agli stessi è anche riconosciuto il diritto al libero scambio all’interno della Rete nazionale. L’art 12, nel prevedere che Stato, Regioni e Province autonome possano realizzare periodiche campagne promozionali della biodiversità, istituisce i c.d. itinerari della biodiversità al fine di promuovere la conoscenza delle risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario iscritte nell’Anagrafe, anche tramite l’indicazione dei luoghi di conservazione, delle aziende agricole o dei luoghi di commercializzazione dei prodotti. Particolarmente interessante è l’art. 13, a mente del quale il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le regioni e le provincie autonome, anche con il contributo dei consorzi di tutela e di altri soggetti riconosciuti, possano promuovere l’istituzione di comunità del cibo e della biodiversità di interesse agricolo e alimentare. Tali comunità vengono istituite al fine di studiare, recuperare e trasmettere conoscenze, realizzare forme di filiera corta, vendita diretta, scambio e acquisto di prodotti agricoli, studiare e diffondere pratiche proprie dell’agricoltura biologica e di altri sistemi a basso impatto ambientale, studiare, recuperare e trasmettere saperi tradizionali e, infine, realizzare orti didattici, sociali, urbani e collettivi. L’art 14 istituisce la giornata nazionale della biodiversità il 20 maggio. Va peraltro ricordato che il 22 maggio, tradizionalmente, si celebra la giornata mondiale della biodiversità e sara opportuno chiarire come raccordare le due ricorrenze.L’art 15, invece, prevede che le regioni possano promuovere progetti nelle scuole finalizzati alla conoscenza dei prodotti agroalimentari e delle risorse locali da parte dei giovani studenti. Infine, a norma dell’art. 16, “il piano triennale di attività del consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, prevede interventi per la ricerca sulla biodiversità di interesse agricolo e alimentare e sulle tecniche necessarie per favorirla, tutelarla e svilupparla nonché interventi finalizzati al recupero di pratiche corrette in riferimento alla natura umana, all’alimentazione animale con alimenti non geneticamente modificati e al risparmio idrico”. Per raggiungere questi scopi il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali destina una quota delle risorse iscritte annualmente nello stato di previsione del Ministero. Ci avviciniamo al primo anno dalla promulgazione della legge. Quali conclusioni possiamo trarre? Lo stato di attuazione di questo importante testo normativo è ancora piuttosto limitato. 194 In particolare, l’Anagrafe ad oggi non risulta ancora istituito, così come non è stato ancora emanato il decreto ministeriale di istituzione del fondo di cui all’art. 10. Ma anche quando verrà pienamente attuata, la legge 194 – come hanno rilevato i primi commenti della dottrina – resterà solo un primo passo, da completare. In effetti sarebbe stata necessaria una impostazione fin da subito più articolata e di ampio respiro, che tenesse conto anche di altri aspetti, destinati a divenire sempre più rilevanti: si pensi al tema del capitale naturale e del valore economico della biodiversità (c.d. Economics of Ecosystems and Biodiversity; vedasi ad es. www.teebweb.org). E di fronte a temi più ampi e moderni, anche gli strumenti normativi, istituzionali e amministrativi avrebbero potuto essere più innovativi. Un esempio citato da Lorenza Paoloni nel suo pregevole commento alla legge (Diritto Agroalimentare 1/2016 pg. 151-176) è quello dei diritti degli agricoltori sul patrimonio genetico, oramai ampiamente inclusivo di componenti culturali oltreché biologiche. Altro grande assente è l’apparato di misure connesse al regime del ABS (Access and Benefit Sharing), in particolare i tre meccanismi disciplinati dal Protocollo di Nagoya: autorizzazione di accesso alle risorse genetiche, consenso preventivo informato e condizioni reciprocamente concordate. Non è un caso del resto che l’Italia abbia aderito al Protocollo ma ancora non lo abbia ratificato, a differenza dell’Unione Europea e di oramai numerosi stati membri. Siamo quindi ancora piuttosto lontani da una logica politica di biodiversità come bene comune, sottratto ontologicamente a gestioni e configurazioni privatistiche. Ed anche da una gestione del bene comune retta su meccanismi di effettiva partecipazione collettiva: partecipazione di tutti i cittadini sia alle responsabilità di custodia (a quando una regolamentazione di filiera nel suo complesso?) sia ai processi decisionali. Il percorso è però avviato. Spetta a noi tutti, in particolare imprenditori e professionisti, condurlo avanti. |
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April 2022
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