Mentre tutta Italia discute della sentenza delle Sezioni Unite Penali del 30 maggio 2019, n. 15, con la quale la Corte ha evidenziato che <<integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante>>, c’è un’altra sentenza che deve far riflettere. Il fattoSi tratta della sentenza n. 23787/19 della sez. III Penale della Corte di Cassazione con la quale si è affermata l’incapacità della condotta consistente nella coltivazione di una sola pianta di marijuana a ledere la salute pubblica. Nel caso analizzato, il Tribunale aveva condannato l’imputata per aver coltivato sul balcone della propria abitazione alcune piante di marijuana. A seguito della conferma della condanna in secondo grado, l’imputata ha proposto ricorso in cassazione. La decisione della corteLa Corte, partendo dal presupposto che all’imputata sono contestate la coltivazione e la detenzione a fini di spaccio della droga, ha ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di stupefacenti, la mera coltivazione di una pianta non è sufficiente ad integrare la condotta tipica del reato menzionato. A tal fine, infatti, è necessario verificare se tale attività sia idonea a ledere la salute pubblica e a favorire la circolazione di droga sul mercato. Nel caso in esame, conclude la corte, la coltivazione l’attività di coltivazione è risultata abbastanza circoscritta. Quanto invece alla contestazione relativa all’illecita detenzione, dalle risultanze probatorie si evince che effettivamente la sostanza era finalizzata ad uso per scopo terapeutico.
La Corte di Cassazione ha dunque annullato con rinvio alla Corte d’Appello la sentenza impugnata. |
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April 2022
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