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6/10/2017

Reti d’impresa e agricoltura

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Cooperazione
Ho sempre pensato, per qualche assurdo motivo nato nella mia testa durante gli studi universitari, che fosse questa la parola-chiave per il futuro delle piccole imprese. D’altronde non si può negare che il momento economico e le sfide dei mercati sempre in evoluzione richiedano almeno una profonda riflessione sul tema. Per questo motivo ho sempre studiato, approfondito e messo in pratica il contratto di rete d’impresa. E ne voglio parlare, seppur brevemente, qui, con particolare focus sulla filiera agroalimentare.
Cos’è una filiera ?
Per filiera si intende quell’insieme dei settori produttivi e delle relative imprese coinvolti nella realizzazione di una determinata produzione. Insomma, nella definizione rientrano tutte quelle imprese che, ad esempio, curano la coltivazione, la trasformazione e la commercializzazione del prodotto agricolo.
Come nasce il contratto di rete d’impresa?
Il contratto di rete nasce con il decreto legge 5/2009 convertito dalla legge 33/2009. La normativa definisce il contratto di rete come “un accordo tra uno o più imprenditori, con lo scopo di accrescere la propria capacità innovativa e competitività sul mercato”.
Cosa serve per stipulare un contratto di rete?
In primo luogo è necessario un programma. Il programma comune di rete è uno strumento tramite il quale le imprese retiste indicano gli obiettivi che intendono raggiungere, le modalità tramite le quali raggiungerli e le regole vigenti nei rapporti tra gli imprenditori stessi.
Elementi obbligatori del contratto sono:
-Denominazione delle imprese aderenti: occorre, infatti, indicare tutti i dati utili all’identificazione delle imprese;
-Obiettivi di innovazione e competitività: le reti d’impresa nascono per perseguire questi obiettivi, comunemente traducibili in R&D e/o costruzione di brand identity. Tali scopi vanno indicati anche nel contratto;
-Durata del contratto;
-Modalità di adesione di altri imprenditori;
-Procedure decisionali delle imprese retiste
Elementi facoltativi del contratto:
-Fondo patrimoniale comune: è costituito dai contributi delle imprese partecipanti e dai beni acquistati dalla rete stessa;
-Organo comune: è il soggetto incaricato di gestire le operazioni della rete e dare esecuzione al programma della stessa.
Forma delle reti d’impresa
Si distingue in rete soggetto e rete contratto. Nel primo caso parliamo di un vero e proprio soggetto giuridico, distinto dalle imprese retiste e autonomo. In questo caso è obbligatoria l’istituzione sia del fondo patrimoniale che dell’organo comune.
Nel secondo caso, invece, parliamo di un contratto stipulato dalle imprese che, però, non istituisce un nuovo soggetto ma si limita a regolare i rapporti tra le imprese retiste. Questa è la forma maggiormente diffusa nel settore alimentare.
Reti di impresa e agricoltura​

Nel settore agrifood le reti d’impresa non sono diffuse come dovrebbero. Un po’ perché un loro pieno riconoscimento è solo arrivato nel 2014 con la legge 91 (decreto competitività) e un po’ perché vi è sempre stata una certa resistenza all’aggregazione. Resistenza dovuta, principalmente, alla paura di perdere la propria identità. Una paura non totalmente ingiustificata che, però, deve fare i conti con due fattori.
Il primo: il mercato.
Oggi occorre essere competitivi, con un prodotto di qualità e/o un prezzo aggressivo. Da soli, specie se si è piccoli, non si può competere con realtà particolarmente grandi.
Il secondo: l’innovazione.
In molti, oggi, ripetono “innovare, innovare, innovare”. Ma l’innovazione ha un costo che, in rete, può essere suddiviso e gestito al meglio.
Un terzo elemento va tenuto in considerazione: con le reti d’impresa, i singoli imprenditori non perdono la propria autonomia e identità e, in più, possono ottenere ampi vantaggi sul piano lavorativo, fiscale e civilistico.
Insomma, fare rete conviene. Non è la soluzione definitiva ma, se ben costruita e gestita, una rete d’impresa può aiutare i singoli imprenditori retisti a innovare, aggredire nuovi mercati e aumentare la propria competitività.

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