La pubblicità in rete mascherata da “lifestyle” potrebbe essere al capolinea fonte immagine: trend-online.com Navigando sui social network troviamo di frequente post di blogger e influencer pubblicati con finalità commerciali. Parliamo di pubblicità di ogni tipo, comprendente, ad esempio, capi di abbigliamento, ristoranti, hotels, car sharing, e persino prodotti alimentari.
Ebbene, nessuno dei blogger indica mai se si tratta di pubblicità o se, invece, è un autentico consiglio. Né, ovviamente, è dato sapere se l’attività viene “retribuita” o meno. Le condizioni di utilizzo di instagram che, in questi casi, è il social network maggiormente utilizzato, non prevedono alcuna regola: nessun hashtag, nessuna indicazione peculiare deve accompagnare il posting di contenuti per i quali è presumibile si riceva una retribuzione. Alcune domande, quindi, sorgono spontanee: Si tratta di attività conforme alle norme del nostro ordinamento? Chi tutela il consumatore? E come può, questi, distinguere i contenuti a scopo pubblicitario da quelli di puro “lifestyle”? Le risposte cominciano ad arrivare. Lo scorso 5 aprile per la prima volta un’autorità specializzata ha sanzionato una blogger per aver pubblicizzato un prodotto senza specificare il fine commerciale (tramite, ad esempio, l’hashtag #ad). Il 7 Dicembre 2016 la blogger inglese Sheikhbeauty pubblica la foto di una busta di the inglese con la seguente descrizione: “@flattummytea 20% off guys!!!! If you’ve been following me you’ll know i used this and I genuinely feel less bloated and a flatter tummy … oh yessss”. La blogger, oltre a taggare la marca del the in questione, pubblicizza uno sconto del 20%. Interviene -a seguito di ricorso- la Advertising Standards Authority (ASA) che impone alla blogger l’eliminazione del post. Ma non è l’unico caso. Autorità competenti e associazioni di settore sono di recente intervenute per cercare di individuare le regole tramite le quali i blogger possono pubblicizzare (su instagram e sugli altri social network) i prodotti più disparati. Tra queste, la statunitense FTC (Federal Trade Commission) e la australiana AANA (AustralianAssociation of National Advertisers). La domanda che tutti si pongono è: I blogger agiscono i maniera illecita? O meglio: E’ legittimo postare prodotti a scopo commerciale (e dietro compenso) simulando un “lifestyle” della webstar in questione? Quello che è cero è che il consumatore ha diritto di sapere se il post che sta guardando è pubblicitario o meno. A maggior ragione ove si consideri che, nella normalità e per tutti i mezzi di comunicazione -sia essa carta stampata, tv o radio- le finalità pubblicitarie vengono sempre ben evidenziate tramite immagini, scritte (anche sottotitoli) o suoni peculiari. L’Unione Nazionale Consumatori ha presentato un esposto all’AGCM (autorità garante della concorrenza e del mercato) al fine di verificare la legittimità dell’attività pubblicitaria “camuffata” sui social network. La base giuridica di tale esposto risiede nell’art. 22 del Codice del Consumo (Decreto Legislativo 206/2005) secondo il quale l’intento commerciale dev’essere esplicitamente indicato qualora non sia reso evidente dal contesto o, comunque, se è idoneo a indurre in errore il consumatore. L’esposto mira, con tutta evidenza, a sollecitare l’attività investigativa dell’Autorità Garante, sì da fornire risposte adeguate non solo sul rapporto interno tra produttore e blogger (compensi contrattuali), quanto anche -e soprattutto- sulla necessità di indicare in maniera esplicita e senza alcuna possibilità di fraintendimento il fine pubblicitario dell’attività. Nel frattempo, in attesa degli esiti della procedura AGCM, instagram è corsa ai ripari introducendo una nuova feature che permette di inserire un tag “Paid Partnership with” sia nelle storie che nei post pubblicati. In alternativa, l’utilizzo di hashtag che evidenzino lo scopo commerciale del post (come #ad, #advertisement, #pubblicità), sarebbe un’opportuna cautela per i blogger e, insieme alla feature appena introdotta, potrebbe rappresentare una -ancorché parziale- tutela del consumatore. UPDATE del 29.06: All'interno del DDL concorrenza, approvato alla Camera con 218 voti favorevoli, 124 contrari e 36 astenuti, è stato richiesto al governo di "valutare l'opportunità di un intervento a livello legislativo affinché l'attività dei web influencer sia regolata, permettendo ai consumatori di identificare in modo univoco quali interventi realizzati all'interno della rete internet costituiscano sponsorizzazione". UPDATE del 24.7 L'Autorità Antitrust ha diramato il seguente comunicato: "ANTITRUST SU INFLUENCER MARKETING: LA PUBBLICITA' DEVE ESSERE SEMPRE TRASPARENTE L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sta indagando sul fenomeno dell’influencer marketing nei social media. L’influencer marketing consiste nella diffusione su blog, vlog e social network (come Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, Snapchat, Myspace) di foto, video e commenti da parte di “bloggers” e “influencers” (ovvero di personaggi di riferimento del mondo online, con un numero elevato di followers), che mostrano sostegno o approvazione (endorsement) per determinati brand, generando un effetto pubblicitario, ma senza palesare in modo chiaro e inequivocabile ai consumatori la finalità pubblicitaria della comunicazione. Tale fenomeno sta assumendo dimensioni crescenti in ragione della sua efficacia derivante dal fatto che gli influencer riescono a instaurare una relazione con i followers-consumatori, i quali percepiscono tali comunicazioni come consiglio derivante dall’esperienza personale e non come comunicazione pubblicitaria. Spesso, le immagini con brand in evidenza, postate sul profilo personale del personaggio, si alternano ad altre dove non compare alcun marchio, in un flusso di immagini che danno l’impressione di una narrazione privata della propria quotidianità. Le immagini, infatti, talvolta, rappresentano un ambiente domestico e sono realizzate con tecniche fotografiche non ricercate; altre volte, le tipologie di immagini, le pose dei personaggi e l’ambiente assumono lo stile di un set fotografico. L’evidenza data ai marchi può variare in intensità e modalità, in quanto le tipologie di post e personaggi si presentano molto eterogenee. In alcuni casi, i nomi dei brand sono citati negli hashtag dei post, in altri casi, sono invece in evidenza nell’immagine. Il post può essere accompagnato da commenti enfatici sul prodotto. Per sollecitare la massima trasparenza e chiarezza sull’eventuale contenuto pubblicitario dei post pubblicati, così come previsto dal Codice del Consumo, l’Autorità Antitrust, con la collaborazione del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza, ha inviato lettere di moral suasion ad alcuni dei principali influencer e alle società titolari dei marchi visualizzati senza l’indicazione evidente della possibile natura promozionale della comunicazione. Nelle proprie lettere, l’Autorità dopo aver ricordato che la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, affinché l’intento commerciale di una comunicazione sia percepibile dal consumatore, ha evidenziato come il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand. L’Autorità ha pertanto individuato criteri generali di comportamento e ha chiesto di rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale, ove sussistente, in relazione a tutti i contenuti diffusi mediante social media, attraverso l’inserimento di avvertenze, quali, a titolo esemplificativo e alternativo, #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento, o, nel caso di fornitura del bene ancorché a titolo gratuito, #prodottofornitoda; diciture alle quali far sempre seguire il nome del marchio. Considerato che il fenomeno del marketing occulto è ritenuto particolarmente insidioso, in quanto è in grado di privare il consumatore delle naturali difese che si ergono in presenza di un dichiarato intento pubblicitario, l’Autorità sollecita tutti gli operatori coinvolti a vario titolo nel fenomeno a conformarsi alle prescrizioni del Codice del Consumo, fornendo adeguate indicazioni atte a rivelare la reale natura del messaggio, laddove esso derivi da un rapporto di committenza e abbia una finalità commerciale, ancorché basato sulla fornitura gratuita di prodotti. Roma, 24 luglio 2017" |
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April 2022
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